Quest’anno sono stato presidente di commissione agli esami di stato in un Liceo di scienze umane di Roma.
Ho avuto come candidato esterno uno studente particolare: un detenuto in regime di 41 bis. Ho tenuto un diario di quella che è stata per me un’esperienza unica.
Il 19 giugno sono stato a Rebibbia. Mi ha accolto una delle educatrice, che mi ha subito accompagnato dalla direttrice. Un’accoglienza inaspettata e assolutamente cordiale. Alla presenza dei due funzionari ho aperto il plico che avevo preparato a scuola e che era stato portato da un sovrintendente nella struttura carceraria. Conteneva le tracce della prima prova e l’occorrente per l’elaborato. Ho avuto modo di consegnare personalmente al candidato le tracce, spiegare le modalità di svolgimento dell’elaborato, dargli consigli e rispondere a tutti i suoi dubbi.
Gli ho chiesto di potergli dare del tu come farei con un mio alunno e lui ha acconsentito contento. Mi ha parlato delle lacrime di gioia della madre per questo traguardo che si accinge a superare.
Gli ho raccomandato di dare il meglio perché un giorno io possa raccontare ai miei alunni la sua storia. La direttrice mi ha fatto visitare la struttura carceraria con i suoi gironi infernali.
Siamo stati prima in un’ala dedicata all’esposizione di manufatti dei detenuti, che ho potuto ammirare però attraverso le sbarre del cancello che dava nella grande ala. C’erano due persone trans intente a lavorare. Poi, ho visitato una sala adibita a biblioteca.
C’erano un uomo avanti negli anni e un ragazzo, detenuti comuni. Il più grande sta ultimando giurisprudenza, il più giovane matematica. Nel congedarmi da loro, il più grande mi ha stretto la mano, ringraziandomi per l’onore di essermi fermato a parlare con loro e, avendo saputo che insegno filosofia, ha chiesto alla direttrice di invitarmi a tenere qualche lezione da loro.
A stento ho trattenuto le lacrime, riuscendo appena a rispondere che sarebbe stato un privilegio per me.
Sono stato poi nel bar dell’istituto, dove mi è stato offerto un caffè buonissimo chiamato “Galeotto”.
Un responsabile mi ha spiegato come i detenuti lavorano il caffè. Ho voluto comprare due pacchi. È stato emozionante. Un’esperienza molto forte.
Il 24 giugno, insieme ai docenti della commissione esaminatrice, sono ritornato a Rebibbia per la prova orale del candidato in regime di 41-bis. Ho insistito affinché fosse concessa alla commissione una stanza sufficientemente grande per consentire un esame decoroso, sottolineando quanto la mia richiesta fosse legata al valore stesso dell’esame di Stato e al bisogno di far percepire al candidato l’importanza del traguardo che si accingeva a raggiungere per la sua crescita culturale, umana e civile. La mia richiesta non ha potuto trovare accoglienza per una oggettiva impossibilità dovuta alla normativa che regola il 41-bis.
Tuttavia, nonostante l’angustia del luogo, mi sono presto reso conto che il candidato aveva piena coscienza della solennità del momento. Abbiamo dovuto svolgere il colloquio, che impone la presenza completa della commissione, in piedi, in una stanzetta di pochi metri quadri, con un vetro antisfondamento che ci separava dal candidato e le zanzare che ci tormentavano. Ci sono stati forniti due sgabelli di plastica e una piccola panca era fissa di fronte al vetro. Il candidato si è seduto per abbozzare su un foglio il suo percorso, che partiva da uno spunto fornitogli dalla commissione e avente ad oggetto la scuola come pensata e creata dalla Montessori.
Una scuola che forma spiriti liberi. Come presidente sono rimasto in piedi vicino al vetro, mentre i commissari si sono alternati sedendosi sulla panca. Gli altri hanno fatto da cornice appoggiati alle pareti. Il candidato, che si è alzato in segno di ossequio per ogni commissario che si sedeva sulla panca a svolgere il colloquio, ha detto di sentirsi più teso di quando si è trovato davanti ai giudici e i suoi occhi lucidi lo attestavano chiaramente.
È stato preparato e brillante. Ha spaziato nelle diverse discipline, mostrando una intelligenza sveglia e puntuale con una propensione particolare per le materie umanistiche e, soprattutto, per la storia.
Al termine del colloquio non abbiamo potuto stringergli la mano. Ci ha salutati al di là del vetro con un sorriso fanciullesco, mentre dalla sua parte si apriva la porta e si intravedevano gli agenti pronti a ricondurlo in cella.
Prima che andasse via, gli ho chiesto di darmi il permesso di raccontare la sua storia, che è diventata una storia di impegno e di riscatto. Mi ha risposto orgoglioso in senso affermativo.
L’ho salutato con un arrivederci e gli ho dato appuntamento per quando avrà scontato il suo debito con la giustizia.
Massimo Frana
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