Quando arrivano i fatidici esami, nel momento quindi di massima esigenza di efficienza cognitiva da parte degli studenti, tale efficienza può ridursi drammaticamente. A determinare questi spiacevoli inconvenienti non è un destino baro e crudele, ma l’ansia, sostanzialmente, uno stato di aumentata vigilanza di fronte alla prospettiva di eventi futuri caratterizzati da incertezza o conflitto.
Uno stato particolarmente ansioso può infatti non solo inficiare la nostra capacità di attenzione focalizzata, ma anche limitare l’efficienza dei processi elaborativi della nostra mente, quelli che si verificano nella nostra “memoria di lavoro”, un’area limitata nel tempo e nello spazio operativo, che in genere mantiene contemporaneamente circa sette elementi per volta. Ben poco, se paragonato alla RAM di un computer (Moran T. P., 2016. “Anxiety and working memory capacity: a meta-analysis and narrative review”. Psychol. Bull.).
Ebbene, una persona in uno stato ansioso può vedere questo magazzino di elaborazione diminuire in efficienza fino ad uno span di cinque o perfino meno elementi per volta. Significa diventare di colpo meno capaci in termini di prestazioni intellettive. Qualcosa di pericolosamente simile a “momentaneamente un po’ più stupidi”, diciamolo pure.
Ma come fa l’ansia a renderci meno capaci di ragionare e di elaborare informazioni? Lo fa in diversi modi, ma soprattutto generando pensieri non utili sul piano dell’efficienza elaborativa (E se mi chiede questo, che faccio? E se quello che sto pensando di rispondere è sbagliato?). Pensieri che andranno quindi ad occupare spazio vitale nella memoria di lavoro, con un ingolfamento della sua capacità elaborativa.
L’ansia (in modiche quantità) in realtà svolge una naturale e fondamentale funzione difensiva. Il suo compito è proiettarci verso il futuro, per renderci più pronti, al momento debito, ad affrontare quelle che sono al momento solo potenziali minacce. Ecco, è su questo aggettivo “potenziale” che si gioca il bello e il brutto dell’ansia. Grazie a questo stato di messa in preparazione, di messa in allerta, noi siamo infatti in grado di prepararci per tempo a possibili situazioni negative, perché riviviamo in anticipo ciò che potrebbe succedere. Il nostro cervello è così in grado di simulare situazioni, elaborare informazioni, generare collegamenti e pre-approntare soluzioni. Di mettersi “in prontezza”, insomma. Per questi motivi, è del tutto controproducente assumere ansiolitici prima di un esame, perché abbiamo bisogno dell’adrenalina che l’ansia ci fornisce.
Bello, no?! Il problema però è che questo “esercito” che si mobilita per tempo spesso vive periodi lunghissimi di mobilitazione per una guerra che, iin tantissimi casi, non scoppierà neanche. E qui vengono i guai. Perché l’allerta dell’esercito non è gratis: è anzi estremamente costosa per l’organismo. In uno stato ansioso eccessivo e protratto, rimaniamo in tensione, spendendo energie indicibili (e togliendole ad altro) per prepararci all’“invasione dei Tartari”. Invasione che in realtà dovremo gestire spesso soprattutto nel nostro cervello e più difficilmente nella realtà. Peraltro, l’ormone del cortisolo entra in circolo e rimane nel nostro organismo per un tempo molto lungo, il che può determinare, sempre in situazioni di ansia protratta, conseguenze negative sulla nostra salute (in particolare, sul sistema immunitario).
E’ anche per questo che è necessario parlare di queste cose con gli studenti (educazione socioemotiva). A meno che non ci si voglia accontentare di ragazzi che conoscono, quando va bene, il mondo interiore di Manzoni, e non sappiano riflettere gran che, perché nessuno li ha invitati a farlo, sul loro stesso mondo interiore. A pensarci, lo chiamava così proprio Manzoni: “quel guazzabuglio del cuore umano”.