Definire i giovani italiani “bamboccioni” è generico e offensivo. Su questo siamo tutti d’accordo, se non altro per le difficoltà oggettive per un ragazzo di trovare un impiego serio e su cui poter fare progetti affrancandosi dalla famiglia. Al punti che anche quando i ragazzi hanno la bravura e fortuna di imbattersi in una seria proposta di lavoro è improbabile che lo stipendio percepito possa bastare per sganciarsi dalla famiglia. In certi casi, però, il termine coniato, provocando polemiche a dismisura, dall’ex ministro dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa, può essere anche limitativo.
Come nel caso di quel 31enne di Palermo che, iscritto da quasi dieci anni alla Facoltà di Ingegneria, risulta abbondantemente fuori corso ma pretende comunque la “paghetta” a fine mese: il problema è che il ragazzo sostiene gli esami a dir poco a singhiozzo (ha superato solo quelli del triennio). Ignaro di ciò ha trascinato il papà davanti al giudice perché l’“ingrato” genitore, consulente del lavoro separato dalla mamma, da qualche tempo ha deciso di non corrispondergli più l’assegno mensile di 500 euro.
A fronte di tutto ciò, la quarta sezione del Tribunale di Palermo, presieduta dal giudice Giovanni Tomaselli, non ha avuto dubbi: una condotta del giovane così irresponsabile è ampiamente giustificabile per interrompere il mantenimento familiare, anche se questo è stato imposto attraverso una sentenza del giudice civile. Quindi genitore assolto e figlio senza più assegno.
Il fatto di non aver trovato lavoro diventa, in pratica, un’aggravante: sarebbe un motivo in più, vista la mancanza di impegni inderogabili, a concludere in fretta l’Università. Invece di trastullarsi.