Il testo scelto quest’anno dal MIUR come proposta A1, nell’ambito della Tipologia A – Analisi e interpretazione di un testo letterario italiano – è stato “La via ferrata” di Giovanni Pascoli. Ma una nota che correda il testo stesso genera non poche perplessità. La poesia, che fa parte della raccolta Myricae, è formata da due terzine e una quartina e fa parte di una serie di madrigali, racchiusi nella sezione “L’ultima passeggiata”, che il poeta romagnolo dedicò all’amico nonché poeta Severino Ferrari, in occasione delle nozze di quest’ultimo.
Tutto è incentrato sul contrasto tra la serenità della vita agreste, rappresentata da un branco di mucche che pascolano tranquillamente, e i primi segnali di una società moderna e industrializzata, simboleggiati dalla ferrovia e dai pali del telegrafo, con la loro trama di aerei fili, che suscitano un senso di smarrimento e angoscia. Al prevalere delle sensazioni visive nelle prime due strofe si contrappone la terza ed ultima strofa dove prevalgono, invece, le sensazioni uditive, secondo un procedimento tipico delle Myricae pascoliane.
Si riporta di seguito il testo della poesia:
Tra gli argini su cui mucche
tranquillamente pascono, bruna si difila
la via ferrata che lontano brilla;
e nel cielo di perla dritti, uguali,
con loro trama delle aeree fila
digradano in fuggente ordine i pali.
Qual di gemiti e d’ululi rombando
cresce e dilegua femminil lamento?
I fili di metallo a quando a quando
squillano, immensa arpa sonora, al vento.
Alla traccia del Ministero dell’Istruzione è aggiunta la seguente nota ai versi 7/8 del madrigale: “femminil lamento: perché i fili del telegrafo emettono un suono che talora pare lamentosa voce di donna”.
Ma la nota appare quantomeno poco convincente, se non addirittura fuorviante. Il rumore dei fili di metallo (del telegrafo), mossi dal vento, è, infatti, assimilato dal Pascoli, negli ultimi due versi della poesia, al dolce suono prodotto da un’arpa; i termini usati dal poeta “ gemiti”, “ ululi” e “rombando” sembrano riferirsi, invece, con tutta la loro portata onomatopeica, al rumore di un treno in lontananza, questo sì assimilabile al lamento di una donna.
“La via ferrata”, del resto, segue di pochi anni una delle più celebri “Odi barbare” di Giosue Carducci, “Alla stazione in una mattina d’autunno” in cui il primo poeta italiano insignito del Premio Nobel per la letteratura indugia sulle sensazioni uditive provocate da una locomotiva che gli sta portando via l’amata Lidia (“flebile, acuta, stridula/fischia la vaporiera da presso” vv. 5-6; “ed i ferrei/freni tentati rendono un lugubre/rintocco lungo” vv. 20-22; “già il mostro, conscio di sua metallica/anima, sbuffa, crolla, ansa” vv. 29-30; “Va l’empio mostro; con traino orribile/sbattendo l’ale gli amor miei portasi”, vv. 33-34).
E che ne “La via ferrata” Pascoli ricalchi il suo maestro sembra veramente difficile negare! Carducciano fu pure quel Severino Ferrari citato prima, a cui la poesia del Pascoli è dedicata, per non parlare poi della fortissima e nota influenza esercitata su “Myricae” da Carducci stesso. Riferimenti testuali ed extratestuali sembrano, quindi, escludere che possa essere attribuita ai versi del Pascoli l’univoca interpretazione proposta dagli addetti del Ministero dell’Istruzione.
Giuseppe Scafuro
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