A dir poco imbarazzante, se non peggio.
Stanno finendo i colloqui degli esami di maturità, con situazioni e contesti che, in troppi casi, non fanno onore al mondo della scuola, per comportamenti non sempre cristallini da parte di alcuni presidenti e di alcuni commissari d’esame, soprattutto esterni.
Per presidenti di commissione, anzitutto, che siano presidi o docenti poco importa, che si sono dati un ruolo defilato, quasi insignificante. Parlo del piano culturale e non solo gestionale.
Alcuni presidenti, a dire il vero, hanno avuto problemi persino sugli aspetti di coordinamento, di gestione del calendario, di stesura dei verbali, di equilibrio delle fasi di correzione e di valutazione.
Ma la cosa più grave è lo stacco, meglio, l’insignificanza sul piano culturale, per cui le famose “tesine”, tanto per capirci, sono state lasciate a se stesse, nel caos iniziale, ed il seguito del colloquio in balia dei commissari, soprattutto esterni, ancora vincolati a forme di nozionismo spiccio che non può trovare udienza negli esami finali di un corso di studi.
Ovviamente, qui non si fa di tutta un’erba un fascio, né in negativo, né in positivo. Ma si vogliono solo raccontare contraddizioni che tutti conosciamo, o sulle quali tutti possiamo dire qualcosa su situazioni, appunto, “imbarazzanti”.
Alcuni commissari, in particolare, hanno fatto emergere un aspetto centrale della vita della scuola che meriterebbe una bella riflessione. Ci sono cioè due modi di interrogare, verificare, valutare: “voglio sapere quello che sai; voglio sapere quello che non sai”.
Chi ha esperienza, su questi esami come sulla vita della scuola in tutte le sue articolazioni, potrebbe offrire tanti esempi.
Ma sugli esami di maturità non si può far finta di nulla.
Eppure, se queste contraddizioni continuano, a che pro?
Perché, è giusto che lo dica, sono per la loro abolizione, per convertirli in forme di certificazione al termine del corso degli studi, abilitanti la scelta universitaria.
Al di là del valore tutto psicologico di questi esami finali, come “cruna dell’ago” che apre al “dopo” dei nostri ragazzi, al di là del “valore legale” del titolo di studio, che le università ed il mondo del lavoro nemmeno prendono in considerazioni, visti i “test d’ingresso” ed i “colloqui” previsti nei diversi contesti, a che pro?