Caro Ministro Bianchi,
ad un mese o poco più dalla riapertura delle scuole dopo le festività natalizie, tra ordinanze firmate e subito impugnate, protocolli continui che giocano coi numeri, tra danze di contagi che oscillano ogni giorno tra presenza, DAD e DDI, siamo di nuovo, come mondo della scuola, alle luci della ribalta per la spinosa questione relativa ai tanto attesi “Esami di maturità” ed ecco che la decisione non si fa più attendere.
La parola d’ordine sembra dunque una sola: ritorno alla normalità! E l’ordinanza è sul punto di nascere…
Prima prova scritta di italiano a livello nazionale. Seconda prova scritta calata nella realtà d’istituto e colloquio a partire da un documento. Così l’esame è fatto!
Nella serietà di una scuola assolutamente seria. Da docente che vive di scuola, ormai da più di venti anni, nella bellezza della terra e cultura napoletana, non posso restare inerte e non condividere una riga di riflessione me lo consenta, nella libertà della mia coscienza morale ed intellettuale.
Premesso che amo questo lavoro che ho scelto per l’unicità di un ruolo sociale, così tanto bistrattato anche da chi dovrebbe difenderlo, sta di fatto che ormai entrare in classe equivale ad una vera “missione speciale”.
Mascherina, distanziamento, finestre e porte aperte nonostante la stagione invernale, conta dei feriti e dei sospettati, vaccinati e non, nella nuova diatriba di bene e male su percorsi e segnalazioni di distanziamento, tutto nell’acro odore del gel disinfettante di turno. Cosa resta della normalità della scuola in cui siamo cresciuti e a cui ci sentiamo vocati? Nulla…
Noi ci siamo, in presenza, a distanza, ogni giorno, e ci siamo sempre stati per combattere l’estenuante battaglia della cultura, una guerra, che a dire il vero, era già scoppiata ben prima della pandemia degli ultimi due anni.
Noi ci siamo nonostante c’è chi dice che lo facciamo solo per essere ancorati alle poltrone e ai tanto “ambiti” stipendi che, mi creda, ci fanno sudare per un solo mutuo da pagare prima di arrivare a fine mese! Controlli pure la mia busta paga e il mio conto in banca come quello dei colleghi di nuova generazione.
Noi, professionisti dell’educazione, della formazione, della cultura, gli irriducibili intellettuali del Ventunesimo secolo siamo pressappoco l’ultimo gradino di questa società consumistica che ha consumato se stessa, tutto fino all’essenza.
Eppure ci siamo, ogni giorno, e nonostante tutto siamo al nostro posto, radicati nel nostro ruolo ormai missionario e ci proviamo in ogni ora di lezione in presenza o a distanza, ad essere insegnanti ossia coloro che lasciano un segno dentro… Noi ci siamo, insieme ai nostri studenti che ci osservano, e inevitabilmente, ci chiedono risposte sulle più disparate domande della vita.
Ed è questa la nostra passione innanzitutto “esserci” per camminare insieme sui cammini della verità che mai potrà essere sondata e posseduta ma pur sempre ricercata.
Allora, da docente di lettere, appassionato di scrittura e lettura dovrei certamente gioire della sua ultima scelta che dice serietà, rigore, ritorno all’ordinario. Ben vengano le prove scritte, soprattutto quella di italiano, a cui ho vocato me stesso e il mio lavoro. Ma preferisco una lieve flessione, una divagazione per me portante: non mi si dica ritorno alla normalità. E sa perché? Di normale non c’è e potrà esserci più nulla dopo questa pandemia e sia così!
Io non voglio la scuola che c’era prima, un ritorno indietro come se nulla fosse stato. Io non voglio il ritorno alla normalità come se nulla fosse mai successo. E non lo vogliono neppure i nostri studenti.
Dopo la voragine della pandemia non vogliamo che torni la normalità di ciò che era… ciò che è stato sempre così, ma proprio l’esatto contrario: vogliamo che arrivi finalmente ciò che non è mai stato… o almeno non è stato ancora, ossia l’eccezionale, il meglio, il desiderio, il sogno!
Allora sogno una scuola di “dignità”, parola così comune eppure comunemente dimenticata. Una scuola degna fa scrivere i ragazzi perché la scrittura è l’arma delicata della conoscenza e della comunicazione, ma sempre e non solo il giorno dell’esame!
Ben venga la prova scritta di italiano ma che riacquisti la sua valenza e il suo peso specifico oltre e aldilà del fatidico 22 giugno di ouverture.
Che ci sia la consapevolezza della bellezza e della importanza della scrittura contro ogni logica INVALSI di test e contro test americanizzanti. Che ci sia la prova scritta di italiano per l’ingresso alle facoltà universitarie e ai concorsi quelli pubblici e privati. Che ci sia la competenza della scrittura che racconta chi siamo nella unicità del nostro pensiero e del nostro essere. Diciamolo, gridiamolo che scrivere è unico ed è ancora utile. Che serve non solo per una calda mattina di inizio estate… ma nella vita.
Facciamolo capire che quelle poche o tante righe scritte sono un delicato ri-velare l’identità che ci appartiene.
E per questo, caro Ministro, non voglio più una normalità omologante che vede nelle crocette il baluardo del suo sistema valutativo e standard ma voglio soprattutto a scuola, una griglia di mille colori e sfumature…una indifferenziata varietà di sfaccettature uniche ed irripetibili come unico e irripetibile è il volto di ogni essere vivente e soprattutto di ogni alunno che mi è affidato. Questo è ciò che racconto sempre ai miei studenti da anni!
Ma la scuola “seria” delle valutazioni in “serie” mi smentisce nella sua omologata normalità. Pertanto ben venga l’ordinanza che riporta la vita nel solco della normale andatura delle prove ma non sia staccata dalla memoria, non si “scordi” nel senso etimologico del termine e quindi non sia “scordata” come un vecchio strumento musicale riposto in cantina ma sia di “accordo” col cuore, con la verità concreta, coi fatti di memoria e col ricordo dei desideri e dei sogni negletti dell’intimo.
Per questo io ci sarò quel 22 giugno ad accompagnare la mia classe, i miei ragazzi al primo giorno della prima prova dell’esame di Stato.
Ci sarò con o senza mascherina, ma conservando intatta e viva l’esperienza di questi due anni con tutte le ferite e cicatrici provocate sulla faccia e sul cuore sulla pelle e nella carne.
Ci sarò per dire che sarà un esame “diverso” nella direzione del tempo che è stato e sulla strada del tempo che sarà…
Mario Ascione