Anche l’estate che va terminando ci ha regalato, tra le varie notizie più o meno scontate, quella relativa ai dati della percentuale, quasi “plebiscitaria”, delle promozioni agli esami di maturità. Dati molto simili si ricavano del resto in tutti casi in cui i nostri alunni sono chiamati a sostenere esami, tanto nella SS1 come nella SS2, sia che si parli di ammissione, sia che si tratti dell’esito degli stessi. Pochi giorni fa si sono tenuti quelli che un tempo si chiamavano “esami di settembre”. L’andazzo è sempre lo stesso: una gara – talvolta nauseante: parlo da docente – a chi promuove di più, magari persino in spregio di circolari emanate dalle scuole stesse, con relative indicazioni sui criteri da adottare in sede di scrutinio. Ma, del resto, chi viene ancora bocciato agli esami? E che cosa deve combinare, l’alunno, per incappare in una bocciatura di fine estate, quand’anche fossero state abbuonate molteplici insufficienze a giugno? Certo, non si può fare di tutta l’erba un fascio, non tutte le scuole si comportano allo stesso modo, ma quante percorrono da anni a rotta di collo la china della promozione garantita quasi erga omnes?
Dunque, quali riflessioni si possono formulare a valle della suddetta constatazione? E quali considerazioni ineludibili dovrebbe elaborare il docente, il preside, ma anche, ancor più e ancor prima, chi tiene in mano le redini della scuola italiana? Io credo che il cittadino medio, che non appartiene certo alle suddette categorie, bensì a una maggioranza più o meno silenziosa, si sia già dato da tempo una risposta chiara: siamo, nei fatti, al cospetto di una macroscopica e puerile mistificazione. Una mistificazione che è purtroppo una velina dietro la quale è malcelata la Caporetto di un ampio settore della scuola italiana, peraltro costantemente suffragata come tale dai ben noti test Invalsi (quelli che qualcuno vorrebbe abolire, assecondando un nonsenso pari a quello di chi, avendo una febbre da cavallo, pensasse di guarirla buttando via il termometro), ma anche e per esempio dai riscontri che molti accademici hanno nel livello di preparazione delle matricole.
Vi è però un’altra riflessione non meno rilevante, che coinvolge in questo caso soprattutto un attore fondamentale della scuola: il docente. Mi riferisco alla difficoltà – terribile – di essere un insegnante serio, avveduto, coraggioso, nella scuola di oggi. Un insegnante, si intenda, che ha una visione di scuola che non sia quella buonista volta a trovare in ogni circostanza, in ogni alunno, attenuanti di qualsivoglia natura finalizzate a sdoganare anche la più improbabile delle promozioni, anche quella di chi, avendo avuto esami di riparazione, dichiara candidamente di non avere nemmeno il libro a dodici mesi dall’inizio dell’anno scolastico! E, si badi, oggi l’insegnante che non informa il proprio agire a questo radicatissimo modus operandi può andare incontro a grosse difficoltà.
Soprattutto, però, il docente che intende applicare ancora un po’ di rigore – non rigorismo: rigore, serietà – trova oggi sovente una barriera invalicabile non solo e non tanto nel dirigente scolastico magari incline a sostenere anche le promozioni più invereconde per non avere grane di alcun tipo, ma assai di più nei propri colleghi, che facilmente lo metteranno in minoranza ogniqualvolta in uno scrutinio ci sarà da votare per una bocciatura.
Per evitare di respingere un alunno vi sono docenti (e dirigenti, certo) che ricorrono a ogni espediente possibile. Non di rado, nel tentativo di scardinare la resistenza opposta da qualche collega, si ricorre, non bastando altre soluzioni, al subdolo grimaldello del porre dinanzi a un supposto, ineludibile bivio: o la promozione regalata, oppure perdiamo l’alunno. Ergo, dispersione scolastica, l’unico vero spauracchio nella scuola italiana.
Insomma, se lo vuoi bocciare sappi docente che sarai responsabile di una sua eventuale discesa agli inferi espressa con la condanna a un’ineludibile emarginazione sociale. E chi l’ha detto? Da che mondo è mondo esiste la possibilità di ripetere l’anno, non è una rivoluzione. Nondimeno, esiste l’opportunità di iscriversi in scuole più consone alle proprie attitudini, magari più orientate a lavori manuali (proprio quelli delle professioni artigianali che, statistiche alla mano, stanno scomparendo), se difetta pesantemente l’inclinazione allo studio. Credo che il mondo che sta là fuori, quella collettività che non bazzica le aule scolastiche, non sperimenta l’aberrazione di certi scrutini e non può vedere cosa vi accade, debba essere ben consapevole di tutto questo.
Sergio Mantovani
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