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Esami di Maturità siano prove serie e non come quelle ripetute a scuola, sarebbe controproducente

Con l’insediamento, questa mattina, delle commissioni parte anche quest’anno il treno degli esami di maturità. La prima prova, come sempre di italiano, è prevista per mercoledì, mentre giovedì ci sarà quella di indirizzo.

Anche quest’anno dunque ritroviamo quel “rito di passaggio” che tutti ricordiamo.

Con una nota particolare. Ad essere coinvolti, infatti, ci sono quest’anno gli studenti che hanno patito nel triennio la pandemia, la DaD, e quelle esperienze, in molti casi, di fragilità che sono state al centro di tante indagini.

Comunque sia, buona esperienza con tutti i nostri auguri alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi.

Tutti sanno già che, a parte rarissime eccezioni, saranno promossi, ma il brivido della prova però lo dovranno un po’ sentire sulla propria pelle. E’ un esame, quest’anno, che torna alla normalità. Con commissioni con metà docenti esterni, oltre al presidente.

La cosa buona, comunque, è che siano stati confermati gli scritti. Abilità fondamentale da coltivare e promuovere, in un contesto che utilizza codici e strumenti non sempre adeguati ad una società della conoscenza. Il pensiero pensato ha cioè le sue esigenze.

Lo sappiamo tutti. Non sono stati anni facili quelli del Covid e della Dad per questi ragazzi e per i loro docenti. Ma questo è il tempo che siamo chiamati a vivere.

Si ritorna dunque al pre-Covid, consapevoli che gli esami sono momenti seri, perché in gioco vi è la valutazione di altri su di noi, ai fini però della autovalutazione, cioè della personale consapevolezza sui propri percorsi umani, relazionali, culturali. È un allenarsi a crescere.

Che sia dunque un esame serio, non fine a se stesso, nè una delle tante prove o interrogazioni ripetute a scuola. Ma che sia invece un qualcosa di più e di diverso, cioè un esercizio di analisi complessiva, che si fa poi sintesi e momento di rielaborazione personale. Che dica cioè agli studenti e ai docenti la qualità del cammino percorso.

Per farmi capire faccio un esempio.

Pensiamo alla padronanza della lingua italiana, oggetto della prova di mercoledì, alla capacità dunque di analisi e di sintesi, alla sensibilità e disponibilità ad una rielaborazione critica di ciò che si studia: la comprensione cioè non sia solo passiva ricezione di un messaggio ed un suo utilizzo senza un proprio pensiero pensante in azione.

Del resto non ci possono essere creatività ed innovazione senza un proprio pensiero pensante.

Questo è quello che i docenti devono cercare in queste prove, e questo è quello che devono mostrare i ragazzi. In poche parole, quello che un tempo si chiamava “maturità”.

Che le scuole ritornino, dunque, a ragionare sugli aspetti di sostanza, ed i presidi si prendano la libertà di lasciare per qualche attimo gli aspetti burocratici, gestionali, organizzativi, per ritornare a fare “il preside”, cioè a presiedere i consigli di classe e i vari gruppi di lavoro ponendo al primo posto le questioni di sostanza, cioè educativo-culturali, della formazione.

La promozione, dunque, con questi esami è già garantita a tutti. Ma che sia una prova seria, che dica qualcosa di importante a questi nostri giovani.

In poche parole, una prova o è seria, quindi orientante per le scelte di vita, oppure non vale nulla. Anzi, diventa controproducente.

Qui sta il ruolo delicato del presidente di commissione, perché deve fare in modo che questo esame sia serio, equo, fondato. E culturalmente sostanzioso.

A che serve, dunque, questo esame?

Serve a far comprendere ai nostri adolescenti che si trovano di fronte al primo grande crocevia della loro vita. E le materie e gli indirizzi di studio sono gli strumenti, non il fine. Nemmeno il voto finale conta, a parte la momentanea euforia per la soddisfazione personale di una buona prestazione.

In altri termini, la preparazione di base si è consolidata tanto da consentire scelte successive con adeguato ottimismo?

Agli studenti tutti suggerisco di limitare, se possibile, le opzioni sul loro futuro a due possibilità: di non pensare da subito al mondo del lavoro ma di tenere in considerazione anzitutto la scelta universitaria oppure uno dei percorsi degli ITS, cioè degli istituti biennali post-diploma.

Perché è e sarà sempre più la formazione il loro salvavita.

Gianni Zen

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