Attualità

Esami di riparazione, insegnanti al lavoro a luglio o agosto? Se lo decide il Collegio dei Docenti

Ci si segnala che molti dirigenti scolastici tenterebbero di imporre ai Collegi dei docenti di licei, tecnici e professionali, la “scelta” coatta di effettuare gli esami “di sospensione del giudizio” luglio o agosto anziché ai primi di settembre. Alcuni, scavalcando le delibere collegiali (legittime, perché afferenti all’organizzazione della didattica), le dichiarerebbero “nulle”, decidendo autocraticamente le date degli esami. Decisione di per sé illegittima: come la nostra testata ha già evidenziato, difatti, «Il Consiglio di Stato (sez. II n. 11114/1980) ha sancito che le delibere degli OO.CC. scolastici sono atti amministrativi definitivi, non impugnabili per via gerarchica, ma con ricorso al TAR o al Presidente della Repubblica».

Esami a 40 gradi senza aria condizionata? In scuole per lo più non a norma?

Abbiamo già fatta presente tra l’altro l’inopportunità didattica di esami da svolgere nei mesi più canicolari in aule non norma dal punto di vista microclimatico (ossia contro i dettami del D.Lgs. 81/08, Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro, che al Titolo VIII considera il microclima come agente di rischio fisico). Basterebbe l’attivarsi del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) per impugnare una costrizione simile, in scuole come quelle italiane, quasi tutte fuori norma sotto questo come sotto molti altri aspetti relativi alla sicurezza di lavoratori e studenti. La temperatura estiva non dovrebbe superare in ambienti di lavoro al chiuso i 26 gradi centigradi, l’umidità non dovrebbe sforare il 70%. Sono in grado i dirigenti — responsabili della salute del personale e degli studenti — di garantire e certificare questi parametri nelle scuole italiane? Se la risposta è no, la discussione è già chiusa in partenza.

Le delibere collegiali in materia di organizzazione didattica sono inviolabili

Nessun dirigente può comunque violare una delibera del Collegio in materia di organizzazione della didattica, specie se motivata da considerazioni — per l’appunto —didattiche: come quella, più che ovvia, sulla necessità di concedere al discente il maggior tempo possibile per il recupero. Esami a luglio (un mese dopo la chiusura delle lezioni) o dopo ferragosto son semplicemente ridicoli, e trasformano l’esame stesso in burletta, essendo impossibile recuperare in un mese quanto non appreso in un anno. A meno che non si voglia radicare negli studenti l’idea che la Scuola è una farsa (e che lo è la società degli adulti).

Non è didattico comprimere i tempi di apprendimento

Gli studenti hanno diritto tempi distesi per studiare, alternando lo studio al riposo. È pertanto didattico esaminarli il più tardi possibile. Diremo anzi di più: non essendo la Scuola un parcheggio, ma il luogo dell’apprendimento, le lezioni dovrebbero riprendere il 1° ottobre, per poi terminare il 7 giugno; gli esami di recupero andrebbero fatti il 15 settembre, con temperature più consone. Siamo però consapevoli che in Italia il buon senso è diventato negli ultimi 30 anni utopia: quindi gli esami van fatti ai primi di settembre. Non più tardi, ma nemmeno prima.

Qualche preside giunge a scrivere tuttavia che, per deliberare gli esami a settembre, non sarebbe sufficiente una delibera fatta nel maggio precedente, perché afferente ad un precedente anno scolastico. Ma forse tale affermazione è scherzosa: se fosse realistica, infatti, nemmeno l’adozione dei libri di testo sarebbe valida, in quanto deliberata nel maggio precedente.

Con motivazioni didattiche, il Collegio può e deve poter scegliere liberamente

Altri dirigenti richiamano il D.M. 80/07, secondo il quale gli esami dovrebbero svolgersi entro il 31 agosto, «salvo particolari esigenze organizzative delle istituzioni scolastiche, e comunque non oltre la data di inizio delle lezioni dell’anno scolastico successivo». Appunto: «non oltre la data di inizio delle lezioni dell’anno scolastico successivo»; e le particolari esigenze organizzative le decide il Collegio partendo dalla didattica.

Infatti, i medesimi dirigenti si guardano bene dal citare il D.P.R. 122/09 (norma successiva e di primo livello, dunque di rango superiore rispetto all’O.M. 92/07 e persino rispetto al D.M. 80/07); il quale D.P.R. 122/09 ha chiarito (art. 4, c. 6) che per il recupero delle carenze formative si va “non oltre la data di inizio delle lezioni dell’anno scolastico successivo“. Qui non si parla di “casi eccezionali” o di “esigenze organizzative debitamente documentate”, ma si enuncia il principio secondo cui l’importante è che l’accertamento del recupero e lo scrutinio finale avvengano prima dell’inizio delle lezioni dell’anno scolastico successivo. Dunque, con motivazioni didattiche, il Collegio può e deve poter scegliere liberamente, soprattutto in regime di “autonomia scolastica”: o la definizione di “autonomia scolastica” è puramente esornativa?

La norma parla chiaro e non necessita di esegesi

Altri prèsidi scrivono persino che non rientrerebbe nelle competenze del Collegio docenti deliberare in merito a questioni organizzative, ma solo formulare proposte al dirigente. Citano, del D.lgs. 297/94, solo l’art.7 lettera b): omettendo però volutamente la precedente lettera a), che esplicitamente conferisce al Collegio il «potere deliberante in materia di funzionamento didattico del circolo o dell’istituto». È scritto in italiano, non in aramaico; e dunque difficilmente equivocabile.

Gerarchia delle fonti normative

I dirigenti non citano più il vero motivo della loro ansia di ubbidire ai superiori circa l’anticipo degli esami in luglio e agosto: una nota ministeriale (la 2800 del 13/6/2023) invitava (senza obbligare, dunque) i dirigenti a comunicare entro il 31 agosto gli esiti di tutti gli esami, per motivi organizzativi del ministero stesso. Nota però rettificata con un successivo chiarimento, che rinviava il termine ultimo all’8 settembre (dimostrando che ciò si può fare senza danno alcuno).

Si vorrebbe dunque violare le prerogative dei Collegi dei docenti in nome di una nota ministeriale (che non è nemmeno una fonte normativa, ma un “invito” senza cogenza giuridica)?

Alvaro Belardinelli

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