La pandemia, con tutte le asperità che si è portata dietro, ha fatto riemergere, posto che fosse stato mai del tutto sommerso, il consueto nodo degli esami di Stato: sono utili o no? E a cosa servono, considerato che anche quest’anno saranno i docenti della stessa classa a fare da commissari?
Anche da questa constatazione, unita ad un’altra, secondo la quale l’istruzione governata dallo Stato non potrà mai rendere tutti i cittadini uguali, da qualche parte si è ritornati all’idea di abolire o svalutare il valore legale del titolo di studio.
Infatti il parere sarebbe quello di valutare non in “uscita dei cicli di studio, bensì in entrata, come attuato dalle Università” e siccome “di fatto non esiste nessuna garanzia statale” sulla correttezza del giudizio finale, bisogna puntare sul “valore morale che ogni istituto, ogni scuola, conquista e mantiene, perfezionando l’insegnamento e il tirocinio educativo che esso fornisce ai suoi alunni”.
In altri termini sarà il prestigio della scuola, la credibilità morale e culturale che si è guadagnate sul campo a fare la differenza fra gli studenti a conclusione del ciclo di studi, e non il voto che le commissioni attribuisce nel tentativo di regolare una presunta uguaglianza fra cittadini che agli effetti pratici, secondo questa proposta, non esisterebbe.
Sembra, a questo punto, essere ritornata in auge anche l’altra vecchia idea della concorrenza fra scuole per cui chi esce dalla scuola A ha già più diritti lavorativi o di prosecuzione degli studi di chi esce dalla scuola B, perché la differenza l’ha fatta il prestigio che si è conquistato nel corso degli anni la scuola A, cosa c he la B non è riuscita a realizzare.
Sotterraneo si fa strada anche un altro ancora più vecchio preconcetto (ma solo perché non è stato ripreso per i tanti problemi che ha creato la pandemia) secondo il quale, a fronte di voti di maturità altissimi al Sud, corrispondono voti bassissimi nel test Ocse-Pisa, caratteristica che però incredibilmente si ribalta con gli esiti dei ragazzi del Nord: ottimi voti nei test internazionali, discreti agli esami .
Rimane tuttavia inesplorata l’altra questione, quella di un esame di stato che valuti le competenze raggiunte dall’alunno del corso dei cinque anni in tutte le materie, togliendo così il voto unico. Un documento finale insomma, redatto da una commissione esterna, che reciti, discipline per disciplina, i risultati raggiunti, in modo che il datore di lavoro o l’università sappia le reali capacità di chi vorrebbe assumere o di chi intenderebbe intraprendere ulteriori studi.
Le ipotesi su una ipotetica, ulteriore riforma degli esami di fine percorso scolastico sono tante, compresa quella di togliere alla Stato di farsi garante della efficacia e della efficienza della sua scuola, abolendo appunto il valore legale del titolo di studio.
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