Dare il nome alle cose per diradare il caos. E dunque pane al pane e vino al vino, sennonché questa semplice distinzione non si applica alle cose della scuola che al contrario ha bisogno di chiarezza.
E fu così che, in occasione degli esami di Stato, che probabilmente saranno aggiustai e sistemati per causa del micidiale covid-19, quasi tutti i giornali e i commentatori cedono, forse per abbreviare, a chiamarli “esami di maturità”. Di quale maturità si tratti tuttavia non è dato sapere, visto che quella tipologia di esami, che dichiarava “maturo” il candidato a conclusione ultima delle prove e inventata nel 1969, dopo le famose contestazioni studentesche, è stata archiviata definitivamente nel 1997 dall’allora ministro Luigi Berlinguer (Legge 10 dicembre 1997, n. 425). La tipologia odierna, esclusa l’emergenza virus, fra l’altro si basa, non più su solo quattro materie orali (una scelta dal candidato e l’altra dalla commissione) e due scritti, ma su due scritti e tutti gli orali con la verifica e la certificazione delle conoscenze, competenze e capacità: un’altra cosa appunto, anche se non del tutto conclusa, ma che con la “maturità” non ha in ogni caso nulla a che vedere.
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