Arrivano segnalazioni di anomalie non di tipo formale, ma sostanziale, in questi esami di maturità.
Con presidenti di commissione che se ne stanno in disparte, presi dall’ansia del verbale e dei formalismi, mentre ci sarebbero docenti che ripeterebbero, durante l’orale, che è l’unica prova prevista, le interrogazioni nozionistiche, lasciando ai margini gli aspetti veramente culturali, legati ad un dialogo di reciprocità, sugli snodi problematici, sulle possibili piste di ricerca, anche sulle criticità di una tesi, di un testo, di un argomento. Per mostrare e dimostrare non la sola ripetizione mnemonica, ma l’effettiva comprensione ai fini della rielaborazione.
Questi esami sono, è sempre bene ricordarlo, la certificazione finale, per quel tanto che è possibile, di un percorso di studi, ai fini poi delle effettive e personali, da parte dei ragazzi, scelte di vita, che siano università, post diploma o mondo del lavoro.
Quindi si tratta, insomma, con questo esame di certificare la “maturazione”, si preferiva dire un tempo, cioè la sintesi di conoscenze e capacità, che sono cresciute negli anni delle scuole superiori.
Proprio per portare in primo piano questi aspetti di sostanza, da presidente di commissione ho sempre condotto in prima persona il colloquio, facendo poi interagire i docenti, in questa visione culturale, non riducendo la relazione didattica a mero atto nozionistico, meccanico.
Ma so che non sono una mosca bianca, perché in tante commissioni d’esame questa sensibilità culturale è presente.
Parlo di visione culturale, al di là degli indirizzi di studio, della tipologia dei percorsi, le tesine, gli approfondimenti, quest’anno gli elaborati.
Dunque, compito di una commissione di maturità è condurre maieuticamente il colloquio con i ragazzi. Anche dedicando tempo e studio sui contenuti specifici, perché è bello imparare ogni anno cose nuove, come è bello vedere come i ragazzi stessi riescono a dialogare, ad interagire, a non limitarsi al solo rifugio nozionistico.
Purtroppo però, come mi è già capitato di dire su queste pagine, l’ansia formalistica, burocratica, ha messo invece in secondo piano questo sfondo culturale, trattato come non essenziale, ma solo opzione eventuale, mentre è il cuore della scuola, ed ancor più centro propulsivo di questi momenti, che verranno ricordati per sempre nella vita.
Questo è il valore di questo esame, perché cruna dell’ago tra l’adolescenza e la giovinezza.
I ragazzi, alla fine dell’ora di colloquio, devono avere la netta percezione di quello che hanno maturato, ma anche di quello che sono chiamati ad approfondire, allargando l’orizzonte, aprendo porte e finestre ad altri percorsi, sollecitazioni, sensibilità.
Contenuti che si fanno dunque metodo, che sono metodo, cioè tracce di percorsi ulteriori di sapere e di vita.
Perchè questo sia possibile, si mettono al centro non le risposte, ma le domande, le quali sono originarie o la ragion d’essere delle stesse risposte, sempre particolari, sempre finite, sempre limitate.
Questo, lo ripeto, è lo sfondo culturale, questa è la parte più bella della scuola, della formazione a qualsiasi livello.
Facendo questo rispettiamo i ragazzi, sollecitando la loro motivazione, sensibilità, passione, intelligenza, ma rispettiamo il lavoro docente, cioè il valore pedagogico dell’atto didattico.
I formalismi, dunque, sono necessari ma non sufficienti. Non dovremmo mai dimenticarcelo.
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