Esami di Stato: quando la matematica diventa un’opinione

Il 2017 me lo ricorderò come l’anno degli esami… non miei beninteso, anche se, d’accordo con il grande Eduardo, ritengo che questi non finiscano mai.

In questo anno scolastico sono stata coordinatrice di una quinta del professionale per i servizi commerciali e ho avuto i miei due alunni diversamente abili impegnati nell’esame, l’allieva disabile seguita dalla mia più cara amica ha sostenuto la prova finale e anche mio figlio sta affrontando questo rito di passaggio verso l’età adulta.

Ho avuto modo, pertanto, di avere un osservatorio privilegiato sul fenomeno e sono stata costretta a riflettere su alcuni aspetti di esso, aspetti che magari avevo sottovalutato negli anni scorsi, quando per un quinquennio ho visto gli esami dal di dentro come presidente di commissione, visuale parziale per forza di cose.

Quest’anno mi sono confrontata, e in parte continuo a farlo (mio figlio sarà interrogato nei prossimi giorni) con commissioni diverse, stili e approcci differenti, che già da soli basterebbero a far venire molti dubbi su qualsiasi pretesa di oggettività della valutazione: non solo indirizzi diversi determinano risultati diversi, ma anche all’interno dello stesso, per classi e studenti si utilizzano pesi e misure differenti.

Premetto che io sono già piuttosto scettica sulla possibilità che un semplice numero possa identificare la complessità di un individuo, ma visto che in qualche modo si dovrà pur valutare le performance, non l’individuo, facciamolo.

Allora mi domando: un 70 al liceo pesa quanto un 70 al professionale? Uno studente fortunato che finisce in una commissione di persone di buon senso ha le stesse chances di uno che capita con la presidente incompetente e boriosa? Il docente interno, che ha già una certa idea preconcetta dei suoi alunni, è capace di valutare senza lasciarsi influenzare da quella? Così come l’esterno, che vede quel ragazzo per quella mezz’ora, come potrà farsi anche solo un’idea del suo mondo, delle sue aspirazioni, delle sue fragilità e dei suoi punti di forza se non affidandosi a categorie stereotipate e a impressioni non verificabili?

Allora di cosa parliamo quando sosteniamo, spesso con veemenza, l’oggettività della valutazione? Mi perdonerete se mi viene da ridere… probabilmente per non piangere!

Sarò estrema, ma qual è lo scopo di esami così fatti, e ha ancora senso dare tanta importanza ad un titolo che, spesso, rimane ad ammuffire in un cassetto? Siamo un paese bloccato, dove una grossa fetta di diplomati lavora, quando riesce ad occuparsi, in settori che richiedono titoli di accesso inferiori al proprio livello d’istruzione.

Insomma mi pare che il problema maggiore per questi ragazzi non sia il voto di maturità, eppure la scuola, sempre più avulsa dalla realtà, continua a celebrare un rito carico di regole e prassi stantie (anche se adoro la ceralacca che ancora si usa per sigillare i plichi alla fine delle operazioni!) e a propinarlo a schiere di studenti, come se dall’esito di questo derivasse il “successo” o meno nella vita.

Questa però è la stessa società che permette a Donnarumma, giocatore poco più che adolescente e strapagato, di preferire Ibiza alla seduta d’esame, perché lui, in fondo, ha capito che con sei milioni all’anno il diploma, se vorrà, potrà comprarselo e varrà come quello dei miei alunni che c’hanno sputato sangue e magari sono stati anche maltrattati. 

E del resto, in questi giorni, ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare: commissari che umiliano gratuitamente i candidati, presidenti che si arrogano il diritto di valutare senza tenere conto del parere degli insegnanti, giochi di potere tra interni ed esterni sulla pelle dei ragazzi, burocrazia e incompetenza a fiumi, assenza assoluta di umanità e di professionalità, nel senso alto del termine.

Mi auguro di sbagliarmi, di essere stata solo molto sfortunata, ma resto con l’amara sensazione che la “mediocrazia” stia vincendo anche nella scuola! E allora sarà davvero la fine.

Intanto però mi sento di inviare un augurio sincero a tutti gli studenti, che, in una maniera o nell’altra, usciranno quest’anno, perché loro sono la parte buona di questo ormai sgangherato baraccone!

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