Non potevano mancare oggi, nel primo giorno degli esami di Maturità, le dichiarazioni di gaudio di una ministra che si è distinta per un afflato retorico che, pur non nutrito da una salda cultura linguistico-letteraria, ha punteggiato tutti i tormentati mesi che ci siamo lasciati alle spalle.
L’abbiamo appena sentita ricordare da Bergamo, dove ha deciso di inaugurare gli esami, che altri Paesi hanno stabilito di abolire la maturità per quest’anno, a causa del Covid-19.
Ma qui in Italia (tono trionfale di Azzolina) invece si fanno e lei è molto contenta: poi, rivolta ai ragazzi, un enfatico “Siete nella Storia” etc.etc. Non ci stupiamo: le parole in libertà si sprecano quando si parla di scuola, la vuota retorica sembra l’unica regola cui ci si debba adeguare ed è senz’altro l’unica regola cui si è adeguata questa ministra, una dei tanti “giovani-vecchi” che hanno ruoli di governo, la cui insufficiente preparazione non vieta loro di sentenziare su tutto e su tutti.
Abbiamo visto sulla bocca di Azzolina gli splendori e le miserie della didattica a distanza ed adesso è la volta dello “splendore” da princisbecco di un esame di Maturità monco e ridotto ad un rito di passaggio. E ci viene spontaneo chiederci:
“Di passaggio a che cosa?” Per i più fortunati tra gli studenti, soprattutto per quelli che appartengono a famiglie abbienti, sarà il passaggio verso l’Università; per molti altri, l’esame sarà un triste introibo al precariato, ad un lavoro dequalificato e sottopagato, stato nel quale, se le cose non cambieranno, saranno costretti a permanere per lungo tempo.
Poiché siamo arrivati al punctum dolens della precarietà (che si manifesta in mille modi, tra i quali l’incertezza dei propri diritti) vogliamo qui ricordare qual è stata la sorte dei cosiddetti “lavoratori fragili”, cioè di quel personale della scuola che poteva chiedere di lavorare a distanza o, se collaboratori scolastici, di essere sostituiti per evitare qualsiasi rischio di contrarre l’infezione Covid-19. La Repubblica di oggi ci informa: “Si temeva la fuga, ma alla fine non c’è stata, ai lavoratori “fragili” è stato concesso di seguire l’esame a distanza, pochi casi in ogni istituto”. Qualche giorno fa, l’11 giugno, l’ANP in un suo intervento chiedeva “un maggior coordinamento con gli UU.SS.RR., alcuni dei quali hanno formulato indicazioni non coerenti non solo rispetto agli orientamenti formulati dagli uffici centrali, ma addirittura rispetto a quanto previsto dal Documento tecnico sottoscritto dal CTS”.
L’ANP in questo caso aveva (caso eccezionale) gli stessi dubbi della Cub Scuola che, ripetutamente, ha richiesto il rispetto della normativa che impone ai datori di lavoro pubblici e privati l’individuazione dei “lavoratori fragili”. Tale normativa, pur sufficientemente chiara, è stata interpretata in modo estremamente e, a nostro avviso, indebitamente restrittivo proprio da alcuni USR (citiamo il caso dell’USR dell’Emilia Romagna); alcuni dirigenti scolastici sono stati, inoltre, più realisti del re. Tra le segnalazioni che ci sono pervenute, ricordiamo quella relativa ad un “medico competente” che ha compreso, tra le patologie che danno il diritto a lavorare a distanza la “Demenza” (sic!) ed una serie di altre gravissime patologie che consigliano più il ricovero immediato in ospedale (se ci si arriva vivi) che non l’applicazione dell’art. 26 della Ordinanza ministeriale sugli Esami di Stato (che contempla la possibilità di lavorare in remoto).
Sappiamo per certo che alcuni Dirigenti hanno rifiutato l’art. 26 a docenti per i quali il Medico di base aveva certificato un rischio altissimo in caso di infezione da Covid 19. L’illuminato parere di alcuni dirigenti scolastici è stato esposto in un blog di HuffPost da una di loro, la professoressa Giusi Princi che intitola significativamente un suo articolo Maturità con l’incubo dei “lavoratori fragili”.
In esso la dirigente, dopo aver esposto in modo abbastanza zelante la normativa (ripetiamo, a rischio di sembrare uggiosi: la stessa cui noi facciamo riferimento per stabilire il diritto del “lavoratore fragile” al lavoro a distanza) conclude in questo modo: “Non entrando nel merito delle situazioni, sarebbe comunque triste che lo studente dopo mesi di didattica a distanza, dopo mesi di assenza “forzata” dagli ambienti scolastici, dopo mesi di allontanamento sociale e relazionale, si trovasse a gestire il colloquio in presenza seppur confrontandosi a distanza con buona parte dei docenti e dei commissari d’esame… Se così fosse (e mi auguro di sbagliare) che senso avrebbe avuto esporre i dirigenti scolastici ad una moltitudine di adempimenti amministrativi, organizzativi e gestionali, ad una mole di responsabilità anche penali? Solo i fatti ci permetteranno di rispondere a questi quesiti” Vien da esclamare: evviva la sincerità!
Vogliamo dunque deludere i dirigenti laboriosi stando a casa, anche se ne abbiamo diritto? Vogliamo far finire l’anno agli studenti colloquiando con uno schermo? Attenzione: questi sono gli stessi dirigenti che sino a poco tempo fa tessevano le lodi della “didattica a distanza” e che adesso rifiutano ai soggetti fragili di avvalersi della possibilità di stare a casa, svolgendo comunque la loro mansione.
In ogni caso, in nome del tanto citato “principio di prudenza”, non si dovrebbe permettere ad una lavoratore definito “ad altissimo rischio” di oltrepassare la soglia di un edificio scolastico; anche perché, in caso accadesse qualcosa, le “responsabilità penali” così spesso paventate dai dirigenti non tarderebbero a ricadere sulla testa degli stessi.
Giovanna Lo Presti – Cub Scuola
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