Lo stato dell’arte, al momento, è questo: le tesi di laurea si stanno discutendo “a distanza” (sebbene l’ultimo D.P.C.M. del 26 aprile abbia aperto alla possibilità di svolgere esami in presenza), le prove d’esame conclusive del percorso di studi degli specializzandi per l’insegnamento agli alunni disabili pure e persino bandi per l’accesso al dottorato di ricerca (si veda quello dell’università di Bologna) prevedono il solo colloquio da svolgersi online utilizzando piattaforme telematiche.
Per gli Esami di Stato conclusivi della secondaria di secondo grado, invece, sembra che la scelta sia definitivamente orientata per la presenza fisica degli studenti e dei commissari durante il colloquio. Intanto, non mancano gli appelli di docenti e Dirigenti scolastici per scongiurare tale esame in presenza e anche l’Associazione Nazionale Presidi manifesta le “notevoli perplessità che questa scelta sta sollevando tra tutti gli operatori coinvolti: dirigenti, docenti, personale ATA” (si veda il comunicato del 3 maggio), riservandosi di esplicitare al Ministro le proprie riflessioni. Alcuni conti, all’evidenza, non tornano e primo tra tutti il fatto che si ha qualche difficoltà a capire quali argomenti e quali ragioni militino a favore di una scelta di questo tipo, se si tralasciano il lirismo sugli Esami di Stato e sui riti di passaggio (che, comunque, si incardinano sempre in contesti culturali specifici e mutano con il mutare dei contesti, arrivando finanche a scomparire).
Ragioni di tipo didattico certamente no. Se si può procedere online a discussioni ben altrimenti ponderose (da una tesi di specializzazione per il sostegno a una prova di ammissione per un dottorato), non è chiaro quale pregiudizio deriverebbe a un colloquio di maturità, in cui (particolare non secondario) massimo 60 punti su 100 sono attribuiti dalla scuola prima dell’esame sulla base del curriculum scolastico e i rimanenti 40 li assegna una commissione che è formata, con la sola eccezione pressoché “notarile” del presidente esterno, dai medesimi docenti che hanno già valutato gli studenti pochi giorni prima (e che, quindi, si svestono nominalmente degli abiti di “docenti componenti il consiglio di classe” per rivestire quelli di “commissari degli Esami di Stato”: mutato nomine, si vorrebbe dire, de te fabula narratur).
Di ragioni di tipo sanitario, è appena il caso di segnalarlo, nemmeno a parlarne: il principio di precauzione e di cautela imporrebbe, soprattutto quando si ha un’alternativa sostenibile, di astenersi da ciò che potrebbe essere causa di danno. Non solo. Imporrebbe anche una sorta di bilanciamento degli “interessi” per ricavare una risposta accettabile. E, se si bilancia, il dilemma oscilla tra un colloquio in presenza (con rischi sanitari non trascurabili, anche per effetto dei docenti che si sposteranno per raggiungere le sedi d’esame, accompagnati dai nulli vantaggi per la qualità della prova) e un colloquio “a distanza”, che, a fronte di una qualità comparabile a quella del colloquio in presenza, azzera i rischi per la salute. E poi: se la didattica a distanza, questa sì con numerose controindicazioni, rappresenta in periodo emergenziale una risorsa (nonostante tutti i suoi limiti), perché non effettuare a distanza anche il colloquio degli Esami di Stato, che da questa modalità non subisce alcun nocumento? Italia, “mistero senza fine bello”.
Tonino Ceravolo
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