L’adolescente simbolo del diritto all’istruzione delle ragazze, viene raccontata tra pubblico e privato in Malala, il documentario del premio Oscar Davis Guggenheim, nelle sale dal 5 novembre con 20th Century Fox e nel 2016 in onda su National Geographic.
Arriva un momento ”in cui bisogna scegliere se restare in silenzio o farsi avanti” dice la teenager, sopravvissuta grazie a varie operazioni (la prima in Pakistan, le altre in gran Bretagna, dove ora vive con la famiglia), al proiettile che le ha sparato l’attentatore tre anni fa alla testa. Una ferita che le ha fatto perdere l’udito a un orecchio e ha rischiato di danneggiare gravemente la mobilità del volto e del corpo.
”Mio padre mi ha solo dato il nome Malalai. Non mi ha fatto diventare Malalai. Ho scelto io questa vita. Un bambino, un insegnante, un libro, e una penna, possono cambiare il mondo”, ha detto Malala nel suo discorso all’Assemblea dell’Onu. Una battaglia, la sua, per restituire a oltre 60 milioni di bambine e ragazze in 70 Paesi il diritto di studiare. ”Racconto la mia storia – ha spiegato nel suo discorso di accettazione del Nobel, nel 2014 – non perché sia unica, ma perché non lo è”.
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