Abbiamo contattato l’avvocato Sergio Galleano, che insieme all’avvocato Vincenzo De Michele, ha rappresentato le istanze dei lavoratori precari della scuola.
La sue difesa riguarda la legittimità della reiterazione dei contratti a termine nel settore scolastico.
Ricordiamo che era attesa con ansia sempre più crescente da migliaia di precari storici della scuola l’udienza tenutasi lo scorso 17 maggio innanzi alla Corte Costituzionale, alla quale è rimessa l’ultima parola, dopo l’ormai noto intervento della Corte di Giustizia, e la recente pronuncia della Corte di Cassazione a sezioni unite.
Avvocato Galleano, come si è svolta l’udienza di giorno 17
Dopo la mancata ammissione delle OO.SS. CGIL e GILDA-UNAMS e quindi dei loro legali, che pure avevano rappresentato degnamente i lavoratori in Corte di giustizia nella causa Mascolo (n.d.r. la causa “Mascolo” è quella decisa dalla Corte di Giustizia con la nota sentenza del 26 novembre 2014), gli interventi nel merito sulle posizioni dei ricorrenti sono stati svolti soltanto da me e dall’avv. Vincenzo De Michele, che abbiamo cercato, in previsione della possibile ordinanza di inammissibilità degli interventi dei sindacati, di abbracciare anche gli spunti di discussione degli altri colleghi esclusi (secondo noi troppo formalmente), per esserci già coordinati in precedenza con loro.
Qual è stata la linea difensiva assunta dall’Amministrazione.
L’avvocatura dello Stato, nelle sue difese, ha insistito soprattutto sull’approvazione della legge 107/2015 (la cd. Buona scuola di Renzi), con la quale si sarebbero risolti i problemi evidenziati dalla sentenza Mascolo che aveva dichiarato la contrarietà della disciplina del reclutamento scolastico alla clausola 5 della Direttiva n. 70 del 1999, finalizzata ad evitare e, se del caso, sanzionare gli abusi nell’utilizzo dei contratti a termine, rilevando che dal 1999 al 2012 e sino all’attualità, non risultavano essere stati effettuati concorsi ed il personale scolastico era stato utilizzato continuativamente con contratti a tempo indeterminato.
Come avete replicato a queste argomentazioni, certamente suggestive.
Il giudice relatore, Coraggio, ha sottolineato nella sua sintetica relazione questo aspetto, quasi dando l’impressione che la questione potesse essere risolta così.
Gli abbiamo risposto che apparentemente il procedimento poteva chiudersi così, avendo la Mascolo accertato l’abuso, con conseguente declaratoria di illegittimità dell’art. 4 legge 109, ma che non ci saremmo sottratti a trattare della questione della 107 e, soprattutto, delle Sezioni unite 5072/16.
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Ma perché, secondo voi, non sarebbe sufficiente il piano straordinario di assunzioni?
Abbiamo illustrato l’assoluta inidoneità del provvedimento legislativo adottato evidenziando che:
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Sono stati stabilizzati solo 86.000 insegnanti, di cui per oltre la metà nelle fasi 0, A e B, che sono state sviluppate dal piano di stabilizzazione di cui al D.L. n.104/2013; tra essi sono stati escluse rilevanti categorie, come gli ATA, gli insegnanti delle scuole materne comunali, dei conservatori, i tecnici pratici (ITP), gli abilitati pas e tfa. Si tratta di esclusioni che riguardano migliaia di persona.
Anche per i concorsi vi sono problemi, non essendo ammessi alla partecipazione, anche qui, diverse categorie (i laureati, gli insegnanti tecnico pratici, i diplomati magistrali, già inseriti iussu iudicis dal Consiglio di Stato con recenti ordinanze cautelari, quelli di ruolo, la cui esclusione è stata rimessa alla Corte costituzionale dal TAR Lazio) e tutto il personale ATA. Si tratta di personale che aveva abbondantemente superato i 36 mesi di servizio.
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Vi è poi il problema dell’art. 131 della legge 107. Secondo la lettura testuale dell’articolo, a far data del 1° settembre 2016 tutti coloro i quali hanno raggiunto i 36 mesi di servizio non potranno più essere assunti a termine. Si tratta di una norma del tutto avulsa dal quadro normativo europeo, che ha l’effetto di punire l’abusato privandolo del posto di lavoro.
Con l’effetto di creare altri precari, che si fa? Si va avanti ad assumere triennio dopo triennio un nuovo soggetto? Non è forse giunto il momento in cui è ora di valutare ed investire le pubbliche amministrazioni del dovere di assumere secondo le reali necessità? In caso di “variazioni” della domanda ci sono i rimedi: art. 33 del 165/2001. Non ci nascondiamo ancora dietro il falso problema della flessibilità della domanda: ciò vale per qualunque servizio pubblico.
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Si è infine ricordato, per quanto attiene ai problemi di natura finanziaria lamentati dal Ministero per l’ampliamento degli organici, che sul punto ha già risposto la sentenza Mascolo al punto 110, escludendo che i problemi di bilancio possano giustificare gli abusi e che, per gli organici, è tuttora in vigore l’art 14 della legge 270/82 che disciplina le Dotazioni organiche aggiuntive che consentono l’apprestamento di un contingente di insegnati, di ruolo, da utilizzare per coprire eventuali cattedre scoperte, contingente mai attivato in questi anni.
Come si è inserita nel contesto della discussione innanzi alla Consulta, la recente decisione delle Sezioni unite della Corte di Cassazione del 15 marzo scorso, relativa alle sanzioni da applicare in caso di reiterazione dei contratti a termine nel pubblico impiego?
Come è noto le Sezioni unite hanno individuato in una norma che, secondo la sentenza 303 del 2011 della Corte costituzionale era la sanzione economica che si aggiungeva alla conversione del rapporto e che, come abbiamo citato in discussione afferma, al punto 3.3.4: … l’esigenza di misure di contrasto dell’abusivo ricorso al termine nei contratti di lavoro, non solo proporzionate, ma anche sufficientemente effettive e dissuasive – quale si ricava dalla succitata normativa europea nella ricostruzione operatane dalla Corte di giustizia dell’Unione – risulta nella specie soddisfatta dalla sanzione più incisiva che l’ordinamento possa predisporre a tutela del posto di lavoro. Vale a dire dalla trasformazione del rapporto lavorativo da tempo determinato a tempo indeterminato, corroborata da un’indennità di ammontare certo.
Dunque è già prima facie del tutto improprio ritenere quella sanzione adeguata a sanzionare l’abuso.
Le Sezioni unite non hanno infatti considerato la differenza tra la nullità del singolo contratto dall’abuso, ovvero quella fattispecie che trova la sua ragione nella clausola 5 della Direttiva.
Abbiamo fatto un semplice esempio: per un contratto illegittimo di un solo mese: 2,5 mensilità; per dieci anni di contratto a termine (scuola, precari siciliani, dipendenti ufficio immigrazione, con dieci e più anni di precariato) quanto liquidiamo: 12 mensilità? E se il rapporto prosegue, prosegue a costo zero per l’amministrazione.
Evidente l’incongruenza, sotto il profilo logico ancor prima che sotto quello giuridico.
Si tratta poi di un premio: più passa il tempo più il costo si riduce, con l’effetto, poco elegante peraltro, di premiare il datore amministrazione inadempiente: più abuso meno pago.
Nemmeno la responsabilità dirigenziale potrebbe essere vista come un vero deterrente:
Si tratta di rimedi del tutto teorici ed ininfluenti, per una ragione di fatto e per palese contrarietà alla normativa europea. La ragione di fatto è agevolmente rinvenibile nella circostanza che è dal 1993 che la responsabilità dirigenziale è prevista, ma in questi 23 anni non è possibile rinvenire un solo caso – ripetesi: uno solo – in cui un dirigente pubblico sia stato perseguito – e men che mai condannato – dalla Corte dei Conti per le migliaia di risarcimenti che da allora sono stati pagati dallo Stato, dai Ministeri, e dagli enti locali, dagli enti pubblici non economici, con sentenze definitive.
La misura, inoltre si presenta del tutto estranea agli scopi della Direttiva, posto che la sanzione prevista dalla clausola 5 n. 2 è misura finalizzata a regolarizzare la situazione del lavoratore (…2) a quali condizioni devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato) o, in alternativa, nell’ottica delle Sezioni unite, a risarcirlo e, dunque, essendo tale sanzione chiaramente diretta in favore del lavoratore abusato, non può certo consistere nella responsabilità del dirigente che, peraltro, è anch’egli una vittima di un sistema voluto dallo Stato stesso nella sua (dis)organizzazione della pubblica amministrazione e nella sciagurata legislazione approvata nell’ultimo ventennio dal legislatore sull’altare dell’inviolabilità (relativa, come si è visto) dell’obbligo del concorso (ma anche nell’utilizzo indiscriminato del contratto a termine).
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Ma allora quale potrebbe essere, a suo avviso, il rimedio contro la reiterazione abusiva dei contratti a termine.
Se non si rinviene nell’ordinamento italiano una misura adeguata, effettiva, a cui si aggiungono l’equivalenza (nella specie in Italia, con il privato), dissuasiva (come si è visto più aumenta il periodo di precariato, meno è incisiva la misura), occorre dichiarare che osta (la normativa che dispone) il divieto di costituzione di un rapporto di lavoro.
In concreto qual’è stata la richiesta formulata ai Giudici costituzionali?
Abbiamo chiesto che la Corte, con lo strumento che riterrà più opportuno, dovrà fare chiarezza e invitare il legislatore a regolarizzare la situazione accertando e dichiarando il diritto dei lavoratori pubblici all’applicazioni dell’art. 5 comma 4 bis, ora 19 del D.Lgs. 81 del 2015 (n.d.r. la norma prevede che in caso di superamento del limite di 36 mesi per i contratti a termine si ha la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato).
Abbiamo anche evidenziato, alla fine, che il Presidente della Repubblica, già estensore dell’ordinanza n.207/2013 della Corte costituzionale di rinvio pregiudiziale (n.d.r. alla Corte di Giustizia), con decreto n.29/C/2016 ha disposto la stabilizzazione dei precari del Quirinale che hanno maturato i 36 mesi, in applicazione (non obbligata per l’Organo costituzionale) della normativa interna (art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001) e dei principi europei (sentenza Mascolo), dando un chiaro segnale in questa direzione anche alla Consulta.
Quale esito ci si attende dall’udienza del 17 maggio?
Ci risulta, da fonti di stampa ben informate, che a seguito della discussione la Corte non abbia deciso il giorno stesso, rinviando ad altra Camera di consiglio per acquisire informazioni più dettagliate sull’effettività della legge n.107, da noi negata senza che l’avvocatura dello Stato abbia replicato alcunché sul punto.
Evidentemente, i problemi che sono stati esposti in discussione potrebbero aver indotto il Supremo Collegio ad una più ponderata riflessione.
La questione resta ancora aperta, attendiamo quindi il prossimo passo dei Giudici costituzionali.
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