Gli esempi di digital storytelling a scuola non riguardano esclusivamente la scrittura creativa. Anche. Non esclusivamente. Alla base del fraintendimento, la prassi di usare gli strumenti digitali per implementare le strategie della scrittura agganciandole al computer con intenti motivazionali. Funziona, perché il computer e la rete sono ottimi strumenti per catturare l’attenzione dei bambini e dei ragazzi e li predispongono all’apprendimento significativo, quello che resta perché lo hai voluto, lo hai scelto, ti sei divertito a farlo, lo hai sperimentato in modo pratico battendo i polpastrelli su una tastiera. I filtri affettivi si abbattono, i pregiudizi verso la scuola svaniscono, l’odio per le regole della lingua scompare, e lo studente apprende con gioia piuttosto che con fatica. Tutto giusto. Ma il digital storytelling è molto più di questo; è molto più di una pratica di scrittura creativa, ridurlo a un gioco linguistico, a un racconto rovesciato, a una storia a bivi, a un’intervista impossibile, significa non coglierne le potenzialità. Come confondere la tattica con la strategia, lo sguardo corto con la visione. E la pedagogia è visione.
E allora quale visione? Se lo storytelling, l’arte di raccontare storie, non è solo scrittura creativa, se non ha solo a che fare con la narrativa, con la letteratura, con il cinema, con il teatro, in quali altri ambiti possiamo sperimentarlo a scuola? Esempi di digital storytelling li ritroviamo in tutti i campi residui: pubblicitario, giornalistico, aziendale, ma soprattutto nell’ambito che reclama la nostra attenzione di docenti con più urgenza: i social media. Il filosofo Edgar Morin, grande osservatore dei nostri tempi, ci avverte: non serve demonizzare i social media e le nuove tecnologie, serve fare media education, per formare ragazzi consapevoli, critici, attivi. Non sono a caso i tre aggettivi. Consapevole è la persona che fa una scelta di consumo sapendo cosa comporti, non guidata da un istinto irriflesso; critico è colui che riesce a interpretare le dimensioni simboliche e ideologiche dietro il messaggio mediale; attivo è il ragazzo in grado di riutilizzare e risignificare i messaggi secondo le proprie prospettive, facendone nuova espressione e nuovi contenuti creativi. Insomma, quale visione? Una visione proattiva, che insegni a non lasciarsi sopraffare dai media e a farne un uso etico. In breve, decodifica critica e codifica etica. Ecco i due principali obiettivi cui la scuola deve puntare.
In cosa si risolve dunque la media education? In una prassi didattica che punti a formare e potenziare nei ragazzi una social network literacy, attraverso, ad esempio laboratori di storytelling pubblicitario, con l’obiettivo di abituare gli adolescenti a individuare dentro certi contenuti eventuali intenti commerciali o stereotipi di genere; o laboratori di storytelling politico, per mettere in luce come certi contenuti dei post discriminino il lessico con precisi obiettivi idelologici; e altro.
Sul tema, ti proponiamo il corso online: “Digital Storytelling” della nostra formatrice Carla Virzì, il 15 e 16 luglio, dalle 16:00 alle 18:30.
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