Ce ne sono tra i docenti di ruolo e precari, tra quelli che si sono spostati dalle loro case, facendo il più delle volte grandi sacrifici, e quelli che insegnano a due passi dalla casa in cui sono cresciuti.
Come in ogni professione, anche in quella dell’insegnamento, ci sono persone che riescono meglio nel loro operare in classe e persone che dovrebbero fare altro nella vita. In queste differenze spesso si annida l’invidia, un sentimento antico come il mondo e certamente universale, che riguarda a detta di molti la quasi totalità degli insegnanti, a livelli diversi di intensità e di consapevolezza.
A tal proposito in un articolo del Corriere della Sera dal titolo “Ecco i sette peccati capitali dell’insegnante” sull’invidia professionale si scrive così: “L’invidia amareggia l’esistenza. Non è tanto il voler avere ciò che l’altro possiede in talenti e qualità, è l’odio per quello che l’altra persona ha oppure rappresenta.
L’insegnante che invidia il collega carismatico, ricco di passione e ingegno, amato dagli studenti e dagli altri colleghi, che fa le cose non per gli incentivi del fondo d’istituto ma per piacere, non si accontenta di rodersi dentro, ma semina calunnia, desidera distruggere i pregi dell’altro.
L’invidia si alimenta di risentimento. Si insinua nella pretesa che ciascuno ha di valere qualcosa a sé stesso e agli occhi degli altri. L’insegnante invidioso sminuisce i successi altrui e li attribuisce alla fortuna o al caso o sostiene che siano frutto di ingiustizia.
La professionalità e l’entusiasmo altrui sono fonte di personale frustrazioni”.
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