Generazione Hikikomori, sempre connessi e quindi progressivamente estranei alla vita reale. Gli scenari e le responsabilità
Spesso i nostri ragazzi sono definiti “Nativi digitali”. La felice definizione è di M. Prensky (1999), rimanda unicamente a una condizione temporale. Pertanto non si identifica con la competenza digitale che in molti casi è assente. Sono i genitori a cadere nella trappola dell’identificazione. La causa è la loro formazione analogica che li porta ad esaltare il digitale che non comprendono, confondendo lo smanettare o la conoscenza di qualche procedura con la competenza.
Fatta questa premessa, una breve considerazione e qualche dato. Siamo entrati in un contesto dove tutto il Web in chiaro (indicizzato dai motori di ricerca), il Deep Web e i suoi sviluppi più profondi e oscuri (Dark Web) fanno parte del nostro quotidiano. E’ errato definire questo contesto e di conseguenza i dispositivi come nuovi. Sono il presente! Non il futuro!. Questo ha portato ad una nuova configurazione esistenziale: la vita reale (offline) entra sempre più in relazione con quella virtuale (online). I due piani sono divenuti più sfumati, tanto che lo studioso L.Floridi (2017), definisce la nostra esistenza “onlife”.
Tutto questo è esponenzialmente presente nei nostri ragazzi. Secondo una ricerca di Telefono Azzurro(Il tempo del Web: Adolescenti e genitori online, 2016) “Se gli adolescenti fossero piante, la loro linfa vitale sarebbero gli smartphone. Bambini e adolescenti sono abituati ad utilizzare le nuove tecnologie fin da piccoli per giocare, comunicare, tenersi aggiornati, imparare, fare acquisti…Essere online è uno status: quando sono a scuola chattano con amici per organizzare la prossima partita a calcetto o l’uscita del sabato pomeriggio, appena tornano da scuola scrivono ai compagni che hanno salutato soltanto un’ora prima: anche quando non stanno facendo niente, controllano l’ultima notifica su Facebook o scaricano – e inviano – l’ultimo video divertente.”
Questa è generalmente la situazione che rimanda ad un tipo di alfabetizzazione, che come scrivevo sopra, sta progressivamente abbattendo il confine tra le due vite (off e online).
Una pericolosa deriva è la sindrome Hikikomori che sta progressivamente coinvolgendo i nostri ragazzi. I sintomi: la propria stanza come ambiente vitale prevalente, la rarefazione di rapporti reali con i pari, l’assenza di dialogo in famiglia, la riduzione delle capacità emotive e ed empatiche…
Spesso sottovalutato o ignorato dai genitori, perché sono assenti comportamenti di rilevanza sociale, rimanda ad una condizione di inadeguatezza rispetto alla complessità della realtà. La soluzione è il ritiro dalla vita reale e la conseguente immersione in un contesto virtuale e immaginario, fatto di videogames e giochi di ruolo . Il controllo si realizza nella scelta degli ambienti virtuali, del tempo di permanenza in ognuno di essi, nella scelta degli interlocutori. Si è liberi di postare qualunque cosa, aiutati anche dall’assenza del corpo che nella vita reale può consolidare o tradire le parole. La liquidità è il paradigma di questo contesto, dove l’assenza di futuro è occupato dal “qui e ora”.
La decisione di uscire dall’ inferno della complessità reale per entrare in un surrogato di paradiso, è sideralmente lontano dal principio della saggezza digitale (2009), ipotizzata da M. Prensky. Egli ipotizza “l’uso avveduto e critico delle tecnologie” per migliorare la propria esistenza” costituita ancora da una parte offline, anche se ibrida.
La decisione di rifugiarsi nel “paradiso virtuale” è favorito anche dalla mancanza di “discorsi e parole” in famiglia. La frattura intergenerazionale che rimanda a solitudini, a “monadi senza finestre”, favorisce nei ragazzi la ricerca di ambienti dove è in qualche modo ascoltato e considerato. la suddetta condizione apre al fenomeno del cyberbullismo, del grooming (adescamento erotico online), dei siti pedopornografici, che caratterizzano il Dark Web.
E’ necessario che la comunità degli adulti ( genitori, docenti) si “riprenda i propri ragazzi”. anteponendo questa scelta a qualunque altro criterio di tipo economico, sociale o culturale. Difficile, ma non impossibile.
Gianfranco Scialpi
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