Essere un maestro di “vecchio stampa” non giustifica atteggiamenti violenti nei confronti degli alunni, ancora di più perché di età compresa tra i tre e i sei anni: a sostenerlo è stata la Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna a due anni e otto mesi e al risarcimento danni per maltrattamenti su bambini a una maestra della scuola dell’infanzia di Avellino, che riteneva di utilizzare semplicemente metodi di “vecchio stampo”.
I fatti
La maestra era dedita, nei confronti degli alunni disobbedienti, a praticare punizioni “forti”, come l’isolamento, ma anche ingiurie, minacce, tirate d’orecchie e capelli.
La vicenda, scrive l’Ansa, tra il 2015 e il 2016, era venuta alla luce dopo le denunce dei genitori, che avevano raccontato di disagi e malesseri dei figli, e i fatti erano stati filmati.
Inoltre, su due bambini erano anche stati trovati segni al collo, che la donna aveva giustificato come un litigio tra coetanei. La Cassazione spiega che la sua condotta è stata giustamente inquadrata come maltrattamenti e non nel più lieve reato di abuso dei mezzi di correzione, per “l’uso sistematico della violenza, ancorché sostenuta da animus corrigendi“.
I giudici di merito avevano ritenuto che il carattere sistematico del ricorso alla violenza fisica e morale non potesse essere inquadrato in alcun metodo educativo, tenuto anche conto del fatto che i bambini maltrattati erano piccoli.
La difesa
La donna ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che le sue modalità di insegnamento sono risalenti a un’impostazione di “vecchio stampo”, legata a un’idea di pedagogia “meno sensibile alle moderne teorie di insegnamento”.
La docente avrebbe mutuato dalla teoria montessoriana la metodica del ‘time out’, attraverso il ricorso alla ‘sedia del pensiero’ e alla ‘stanza del telefono’, dove faceva in modo che il bambino riflettesse “sulla sua marachella”, permettendogli di alzarsi solo quando avesse compreso il suo errore.
Il legale della maestra ha invitato quindi la Cassazione a ridimensionare le violenze fisiche, lontano da quello che definisce il “condizionamento mediatico”, a qualche “leggero schiaffetto” e “piccoli scappellotti”.
La sentenza della Cassazione
La Cassazione ha bocciato il ricorso, spiegando che i fatti riscontrati dai giudici di merito sono del tutto diversi dalla versione “edulcorata proposta dalla ricorrente”.
Secondo i giudici, infatti, si fa riferimento a “schiaffi ripetuti, tirate di orecchio e di capelli, sottoposizione a vessazioni morali e fisiche”, come “apostrofare i bambini in malo modo”, “strappare i loro disegni”, “sottrarre l’acqua”, “allontanarli dagli spazi di condivisione per lasciarli da soli in bagno” o “in una stanza poco illuminata ‘per riflettere’, la cosiddetta ‘stanza del telefono'”: tutte circostanze che hanno determinato, per i giudici, “un clima di tensione non consono a una scuola materna”.