La crescita culturale degli otto milioni di studenti italiani è affidata ad al corpo insegnante più vecchio d’Europa: secondo una ricerca del Forum PA sui lavoratori pubblici, che apre domani 27 maggio a Roma, “nella scuola, dove massima dovrebbe essere la flessibilità e l’attenzione al nuovo, l’età media è di 51 anni”. Nell’anno in corso, del resto, due insegnanti italiani su tre sono ultracinquantenni, ben l’11,3% ha più di 61 anni ed appena lo 0,2% ha meno di 30 anni.
Nei paesi Ocse, invece, in media i docenti giovani under 30 sono il 10%. La carta d’identità dei nostri insegnanti stride addirittura rispetto a quella dei colleghi lavoratori della pubblica amministrazione italiana: basti pensare che nelle forze di polizia, fanno notare dal Forum PA, l’età media è oggi di 41 anni e nel 2001 era di appena 33 anni. Una quota che secondo i ricercatori si sta alzando inesorabilmente, con la Scuola a detenere tutti i record, nazionali e non, “anche a causa del blocco del turn over e delle assunzioni”.
I dati del Forum PA confermano quanto sostiene da tempo l’associazione sindacale Anief. Nella scuola italiana i giovani continuano ad essere lasciati ai margini. Ancora oggi il 15% degli insegnanti lavora per l’ordinario funzionamento con contratti a tempo determinato: nell’a.s. 2013-2014 sono stati sottoscritti quasi 140mila contratti annuali. A peggiorare la situazione è stata poi la riforma pensionistica Monti-Fornero, che quest’anno ha portato a 62-63 anni la pensione di anzianità. E quando la “stretta” entrerà completamente in vigore, gli attuali 70mila docenti ultra 60enni lieviteranno vertiginosamente.
Ma nella scuola il blocco del turn-over è stato causato anche dalla riduzione del rapporto tra il numero degli studenti e degli insegnanti: è vero, a tal proposito, che oggi la media è ferma a 12, due unità inferiore alla media Ocse (14), ma non bisogna dimenticare che questo rapporto non tiene conto di alcune peculiarità tutte italiane, quali l’utilizzo di 110mila insegnanti di sostegno a fronte di 22mila alunni con handicap (2,5% del totale) e di 30mila insegnanti di religione.
“Se siamo arrivati questo punto – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – la colpa è di chi governando il paese continua a dimenticare che l’insegnamento è scientificamente collocato tra le categorie professionali più a rischio burnout. Mentre si continuano a tutelare altre professioni, per gli insegnanti la soglia della pensione è stata addirittura posticipata, quando entrerà a regime, a 67-68 anni”.
Anief ribadisce che per evitare di ritrovarci con degli insegnanti sempre più vecchi e demotivati occorre trasformare in tutor per nuovi docenti coloro che hanno svolto 20-25 anni di servizio. Il tutoraggio e la supervisione dell’operato dei giovani insegnanti permetterebbe da una parte di svecchiare il personale in cattedra, dall’altra di migliorare la qualità complessiva dell’insegnamento, visto che le nuove generazioni di docenti potrebbero acquisire conoscenze, capacità e competenze oggi non trasmissibili alla luce anche dell’assenza di corsi di aggiornamento.
Anief ritiene quindi utile portare avanti la proposta presentata alcune settimane fa del ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, che ha espresso l’intenzione del suo dicastero di voler porre le condizioni normative per attuare dei prepensionamenti nel settore “per immettere energie giovani” e “ringiovanire la PA”. Premesso che i prepensionamenti cui ha aperto finalmente la Funzione Pubblica non dovranno prevedere penalizzazioni economiche per i beneficiari, va ricordato al Ministro Madia che tra i primi a fruirne dovranno essere i 4mila docenti e Ata della Scuola: hanno iniziato l’anno scolastico 2011/12 presentando regolare domanda di pensionamento, ma poi sono rimasti “incastrati” a seguito dell’approvazione dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214.
“Il Governo deve insistere su questa strada – commenta ancora Pacifico – scrollandosi per una volta delle necessità ragionieristiche dello Stato. Anche perché la Ragioneria generale ha dimostrato che assorbire gli attuali 140mila precari annuali docenti e Ata della scuola risulterebbe conveniente per lo Stato: permetterebbe, infatti, un risparmio di almeno 750 milioni di euro l’anno. Tanto è vero che tra il 2007 e il 2012 la stabilizzazione di quasi 25mila lavoratori del servizio sanitario nazionale e 28mila dipendenti precari delle regioni e delle autonomie locali ha comportato un risparmio sui costi sostenuti dall’amministrazione, rispettivamente, di 80 e 285 milioni di euro. Senza dimenticare – conclude il sindacalista Anief-Confedir- che immettendo in ruolo i precari della PA, si metterebbe la parola fine alle procedure di infrazione attivate dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia per l’abuso di contratti a tempo determinato”.
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