“L’arte della variazione: il moralista imperfetto. Ettore Majorana, un intellettuale al bivio”, Algra, 12,00 euro, di Gabriella Congiu, docente e giornalista, è un libro incentrato sui tratti umani e psicologi di un personaggio fuori dal comune, di un giovane scienziato catanese che a un certo punto della sua straordinaria, ma breve vita, si trova davanti a una scelta che è, per sua stessa definizione, un campo di battaglia. Con ogni ragionevolezza, sceglierà quella più pesante e irreversibile: il suicidio, anche se altre ipotesi rimangono possibili, proprio perché non esistono atti utili a formulare certezze, mentre mille altre ipotesi si fanno strada.
Così, Congiu, entra nelle pieghe della biografia di Ettore Majorana, il giovane scienziato catanese, facente parte dei cosiddetti “ragazzi di via Panisperna”, che improvvisamente, durante un suo spostamento in nave, il 25 marzo 1938, a 31 anni, da Napoli alla volta di Palermo, scompare, facendo dunque pensare o a un incidente o a un suicidio ma pure a un omicidio. Inspiegabili comunque tutte queste ipotesi, mentre scorre una vasta bibliografia per capire o comunque mostrare i documenti necessari al lettore affinché possa arrivare a farsi una idea dei motivi della sua misteriosa e ancora non chiarita scomparsa, considerato pure che su di lui molto è stato scritto e molte congetture sono state avanzate sul dibattito della storia, compresa quella della vita monastica.
Fra questi testi, fondamentale appare, e su cui l’autrice fa spesso riferimento, quello di Leonardo Sciascia la cui tesi si inserisce nella “verità letteraria”, cara anche a Umberto Eco, e cioè che la sua scomparsa sia da leggere “come una minuziosamente calcolata e arrischiata architettura”, per non collaborare all’avvenire distruttivo intravisto nelle ricerche atomiche a cui appunto lui, insieme con altri scienziati, fra cui Enrico Fermi e Emilio Segrè, stavano lavorando.
In ogni caso, Congiu, per meglio rendere la personalità del Majorana, ce lo descrive sia nell’ambito della sua famiglia e sia in quello della società catanese dove si formò e visse, e dove si delinea pure una certa insofferenza con quel mondo, mentre le esperienze professionali in quell’ Europa che si preparava alla Seconda guerra, sembrano decisive nell’indurlo a intraprendere scelte radicali.
Sicuramente, nel libro sono pure riferiti i rapporti coi suoi colleghi scienziati all’interno dei quali sembra farsi strada una sorta di dicotomia, fa ciò che lo agitava nell’intimo e ciò che mostrava ai suoi colleghi, una frattura fra etica e ragione che potrebbe essere alla base della vicenda della sua scomparsa. Una complessa figura, insomma, di scienziato e di filosofo che avrebbe portato il giovane catanese alla estrema scelta del suicidio.
Ci pare di scorgere in qualche modo una sintonia con lo Zarathustra nicciano che si potrebbe perfino ipotizzare nella scelta irreversibile di Majorana: “Amo coloro che vanno al di là”, nel senso della scomparsa per rinascere attraverso la memoria di chi rimane. Una metamorfosi che se per un verso libera per l’altro impone riflessioni e dubbi. Forse.
Ma forse pure una ulteriore disamina, più razionale, come suggerisce anche Sciascia, sul periodo nel quale il giovane visse, sulle ideologie imperanti al tempo, sugli imperialismi e sui rischi che invenzioni di una certa portata possono generare nello sviluppo dell’umanità e dunque da scienziato filosofo il rifiuto della scienza stessa.
Sta di fatto, sembra suggerire Congiu, che grazie a Majorana, al suo possibile sacrificio, oggi siamo un po’ di più costretti a fare i conti e essere più sospettosi con gli sviluppi della scienza e soprattutto sui suoi rapporti con il potere.
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