In un articolo di qualche giorno fa, il nostro direttore riportava alcune dichiarazioni della vice-ministra dell’Istruzione Anna Ascani, secondo la quale non è più accettabile che per un docente italiano l’unica possibilità di avanzamento di carriera sia quello di fare il concorso per dirigente scolastico. Lodevole dichiarazione d’intenti, certo, ma che si aggiunge mestamente alle numerose altre dei ministri e vice-ministri che l’hanno preceduta e che sono rimaste lettera morta.
L’intervento di Ascani ci spinge, tuttavia, a dare un’occhiata ai nostri vicini di casa per vedere come si sviluppa, e se si sviluppa, la carriera degli insegnanti negli altri paesi europei. Ci aiutano, in questo compito, i Quaderni di Eurydice Italia 2018, dal titolo “La carriera degli insegnanti in Europa: accesso, progressione e sostegno”.
Paesi a struttura piatta e multilivello
Gli estensori del Rapporto esordiscono affermando che avere buone prospettive di carriera può rappresentare un fattore importante per aiutare gli insegnanti a rimanere motivati nell’arco della carriera. Li incoraggia a sviluppare le competenze di cui hanno bisogno per mantenersi al passo con l’ambiente educativo che cambia e a continuare a offrire un insegnamento di alta qualità agli alunni. E fin qui, lapalissiano, direte voi. Continuando a leggere, però, ci si rende conto che, oltre all’Italia, molti altri sistemi scolastici presentano una cosiddetta “struttura di carriera piatta”: Spagna, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Grecia ed altri Paesi non offrono possibilità di carriera ai propri docenti.
Di contro, in Francia, Regno Unito, Svezia e in quasi tutti i Paesi dell’est europeo, c’è una struttura chiamata “multilivello”, grazie alla quale i docenti possono contare su un avanzamento di carriera basato, soprattutto, sulla valutazione dei dirigenti scolastici e dei vari organi ispettivi nazionali o su concorso pubblico. Per chi volesse saperne di più, si legga il rapporto completo
La via francese
Prendiamo, ad esempio, il caso della Francia dove coesistono i professori certifiés e i professori agrégés: i primi, chiamiamoli affettuosamente così, sono i docenti” basic”: i secondi rappresentano invece l’aristocrazia della classe insegnante: basti pensare che i docenti agrégés effettuano 15 ore di insegnamento contro le 18 canoniche dei docenti certifiés e guadagnano molto di più. Non solo, hanno titolo ad insegnare nelle “classes préparatoires” alle prestigiose “Grandes Ecoles” che formano, nei vari ambiti, l’élite della Nazione; e, soprattutto, possono insegnare anche nelle università. Per potere accedere a questo status di docente privilegiato, occorre, però, possedere dei titoli (master o dottorato) e superare un concorso molto selettivo che comprende tre prove scritte ed altrettante prove orali. Giusto per fare un esempio concreto: un docente certifié di Italiano che volesse sostenere il concorso per diventare agrégé si troverà di fronte un triplice scritto comprendente un tema in italiano, un tema in francese, e una doppia traduzione in e dall’italiano. Superando lo scritto, il candidato dovrà simulare una lezione in lingua italiana, una lezione in lingua francese e analizzare un brano letterario italiano.
Insomma, tutto tranne che una passeggiata, tanto che ad oggi si contano in Francia circa sessantamila docenti agrégés a fronte di una popolazione di poco meno di seicentomila insegnanti.
E in Italia?
In Italia, il tema della carriera dei docenti è da sempre stato sommessamente accennato o avventatamente affrontato con il sistema del bonus merito che ha rivelato tutta la sua inadeguatezza, procurando conflitti e fratture all’interno delle scuole.
Confidiamo che le dichiarazioni della vice-ministra Ascani possano essere il punto di partenza di una riflessione seria sulla questione, che coinvolga gli attori interessati e che produca un sistema di avanzamento di carriera serio e fondato su strumenti il più possibile oggettivi e trasparenti.