Il Piano Estate, secondo il ministro Bianchi, è «il luogo in cui si sperimentano le nuove forme di didattica, nuove forme dello stare insieme, nuove forme di espressione». Più volte il ministro si è espresso su come si dovrebbe insegnare. Ha addirittura parlato di «riaddestrare» chi insegna.
È normale che in democrazia il potere esecutivo (nella figura del ministro dell’istruzione) entri nel merito delle metodologie didattiche, esprimendo continuamente la propria opinione (opinabile come tutte le opinioni) su didattica e modalità di insegnamento? Il potere esecutivo, in una democrazia parlamentare come la nostra, dà l’indirizzo politico alla nazione; ma nessun indirizzo politico può oltrepassare la Costituzione, la quale all’articolo 33 tutela solennemente la libertà d’insegnamento dell’istituzione Scuola (già definita ”organo costituzionale” da Piero Calamandrei, uno dei padri costituenti più insigni). Orbene, le modalità d’insegnamento non sono competenza del ministro, ma degli insegnanti, che hanno esperienza e titoli per farlo. Cosa accadrebbe se il ministro della giustizia si mettesse a criticare magistrati e avvocati, dicendo come devono lavorare? O se il ministro della salute pontificasse sull’operato dei medici? O se il dicastero degli interni emettesse decreti e ordinanze per dettare ai giornalisti cosa e come devono scrivere?
Un governo credibile dovrebbe semmai rilanciare l’istituzione Scuola — in momenti difficili come questo — fornendole strumenti economici e normativi per alfabetizzare i giovani, educarli, istruirli. Non solo per prepararli a lavori esecutivi, ma per renderli autenticamente liberi di conoscere la realtà nel profondo, rimuovendo gli ostacoli culturali che impedirebbero loro di scegliere liberamente cosa fare della propria vita. Non è forse compito della Repubblica «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (Costituzione, articolo 3)?
Ebbene, perché la Scuola funzioni, prima regola didattica (oggi anche sanitaria, vista la pandemia) è la riduzione degli alunni per classe. Eppure Bianchi, lo scorso 1° giugno, dichiara: «Stiamo vivendo un inverno demografico:tra il ’31 e il ’32 avremo più di un milione di bambini in meno, ma fare classi sempre più piccole non ha senso, i bambini in classi troppo piccole non si ritrovano». Come a dire: scordatevi che il governo colga l’occasione del calo demografico per eliminare le classi di 30 alunni: la si considererà un’opportunità per risparmiare bei miliardi (da dedicare magari — perché no? — alle già pingui spese militari).
Ancora una volta, inoltre, si scredita la Scuola come istituzione volta alla crescita individuale dell’alunno, e la si teorizza come luogo di intrattenimento e babysitting, dove il fanciullo deve solo “ritrovarsi” (vedi anche il discusso “Piano Estate” di cui sopra).
Da decenni la Scuola è una “terra di nessuno”, su cui dire tutto e il suo contrario. Non sarebbe lecito pretendere per la Scuola un dibattito coerente con le regole della logica, della coerenza, della conoscenza diretta di ciò di cui si parla? Non sarebbe giusto che della Scuola, istituzione pubblica, si occupasse il Parlamento, sulla base di ricerche serie, redatte da personale docente scolastico? Non sarebbe ora di sottrarre la Scuola alle oligarchie — ideologiche, economiche, politiche e sindacali — per ripensarne il futuro, avendo come unico obiettivo il benessere comune della nazione?
Si continua invece, nella barca che affonda, a tappare le falle con toppe estemporanee, ispirate a interessi alieni alla Scuola: riforme sbrigative della valutazione; introduzione del “coding” e del “pensiero computazionale”; liceo quadriennale (respinto dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione — il cui parere tecnico è obbligatorio ma non vincolante per il ministro — ma accolto favorevolmente dall’INVALSI, che dovrebbe occuparsi di valutazione); sommarie e fideistiche “sperimentazioni” di ossimoriche “competenze non-cognitive”.
Forzature, introdotte senza dibattito sulla base di parole d’ordine calate dall’alto e ripetute infinite volte dagli schermi televisivi — con la scusa del PNRR — a un paese distratto, disorientato, poco interessato alla Scuola, e pertanto incapace di riconoscere la differenza tra vera innovazione e trovate nocive (quando non deleterie), sospinte dal forte vento degli interessi privati nell’oceano di neoliberismo che ormai acriticamente sommerge l’Italia.
Privati saranno i vantaggi del mercato dei CFU (Crediti Formativi Universitari), assegnati da “enti formatori” anche privati — pertanto non più solo da università pubbliche — che rischiano di trasformare il reclutamento dei futuri docenti in una macchinosa “raccolta punti”. Con quale vantaggio per le effettive capacità di chi insegna?
E quale sarà per l’istituzione Scuola il vantaggio dei notevoli emolumenti (a sei cifre) previsti per i futuri dirigenti della “Scuola di alta formazione” per i docenti? Siamo forse all’ennesima puntata della serie “Impiegatizzare, burocratizzare e centralizzare la Scuola” (a dispetto della sedicente “autonomia scolastica” in vigore da più di un ventennio)?
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