Le forme con cui viene data certezza pubblica a questo assunto, e garanzia della qualità della formazione secondo canoni socialmente accettati, variano da a Paese a Paese a seconda del tipo di ordinamento giuridico, e delle tradizioni scolastiche, accademiche e professionali. In quasi tutti i Paesi, ad esempio, sono bandite le cosiddette “fabbriche di titoli”, ovvero organizzazioni a scopo di lucro che rilasciano titoli di studio a pagamento e a fronte di scarso o nullo corrispettivo in termini di studio.
La mancanza di accreditamento o altro riconoscimento valido dell’istituzione o dei titoli di studio offerti non è di per sé indice automatico di appartenenza a tale categoria. Infatti, possono esistere, nel settore privato, innumerevoli forme di insegnamento e di istituti d’istruzione (anche superiore) che offrono legittimamente formazione, oppure certificano le competenze possedute, pur senza avere le caratteristiche per essere accreditate o riconosciute legalmente nel sistema pubblico dal punto di vista dell'”ufficialità” dei titoli rilasciati (Wikipedia).
A tal proposito già nel 1996 nel Corriere della Sera si scriveva così: “Siamo un Paese in cui il titolo di dottore non lo si nega a nessuno? Si direbbe di si’, almeno a giudicare dal fenomeno delle lauree “fasulle”, diffuse come in nessuna altra parte del mondo. Un fenomeno giustificato forse anche dal fatto che da noi il numero di “dottori” autentici non arriva al sei per cento della popolazione attiva.
Ecco allora il proliferare di istituti privati specializzati nel rilasciare attestati o titoli accademici che non trovano nessun tipo di riconoscimento nel nostro ordinamento. Oppure l’ attivita’ di enti o succursali di sedicenti atenei stranieri che non sono registrati quali istituzioni universitarie o non godono di alcun prestigio nel Paese di origine: anche in questi casi i loro titoli (lauree ad honorem, bachelor, dottorato “culturale” o master) contano in Italia meno della carta da pesce. Eppure si tratta di attestati molto costosi: dai sette otto milioni per una “honoris causa” fino a oltre cento milioni per i due tre anni di “studi” necessari per la “laurea” in ingegneria. Questi attestati possono servire come “status symbol” o in qualche caso per far soldi esercitando una professione senza possedere i titoli”.
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