Quando quest’estate ci siamo occupati degli orribili casi di stupro ai danni di ragazze giovanissime, prima quello di Palermo e poi quello di Caivano, a lungo ci siamo soffermati non tanto sul fatto in sè ma sul contesto culturale e sociale in cui crescono i giovani di oggi.
In molti hanno chiamato in causa i modelli negativi a cui si ispirano i giovanissimi preda di un vuoto educativo, sia maschi che femmine, tra cantanti trap che parlano delle donne come oggetti da possedere e serie tv che romanticizzano la criminalità.
Recentemente è andata virale la canzone della giovane cantante neomelodica Fabiana, intitolata “Malessere”, parola che da mesi circola sui social per indicare scherzosamente e affettuosamente una persona che a volte dà fastidio, spesso il proprio fidanzato. Il brano è andato virale su TikTok e conta più di un milione e mezzo di visualizzazioni su YouTube. Sono moltissimi i video di ragazzine che si divertono a cantarla, anche a scuola.
Fin qui nulla di strano, se non fosse che il testo della canzone lancia dei messaggi davvero pericolossissimi. Eccone uno stralcio: “Voglio il tipo che se esco con le compagne pianta delle grane (fa arrevuta’); Troppo educato? No, non mi interessa; Un laureato, anche interessante, io non lo penso“. Questo quanto canta la giovane, che parla del fidanzato per lei ideale: geloso, ignorante, maleducato, forse addirittura violento, come se l’amore si dimostrasse così; in una parola, tossico.
Pensare a ragazzine giovanissime, che si ispirano magari a questa cantante prendendola come modello, accecate dal suo personaggio fatto di trucco, vestiti firmati e gioielli, che magari vogliono essere come lei e cantano una canzone che inneggia all’amore tossico, che spinge a sottostare a comportamenti aggressivi e sbagliati non è sicuramente il massimo.
Qui ovviamente non si vuole dire che le parole di una canzonetta, e non è l’unica a dare messaggi sbagliati, possano causare qualcosa, e che i fatti gravissimi come gli stupri o gli atti di violenza sulle donne siano effetto diretto di modelli negativi. Si tratta però di qualcosa su cui bisogna assolutamente riflettere. Per combattere questi fenomeni si potrebbe partire infatti da questi esempi che si insinuano nella mente dei giovani, che in qualche modo contribuiscono ad alimentare stereotipi del tipo: “il ragazzo delinquente con il motorino è attraente, quello rispettoso che studia no”.
Poi, ovviamente, i cattivi esempi ci sono sempre stati. Sono i genitori, e in generale gli educatori, che devono riuscire a far comprendere a figli e figlie che non bisogna seguirli. In questo caso bisognerebbe spiegare alle ragazze che l’amore non è mai “malessere”, che bisogna circondarsi di persone buone e positive, e che la propria libertà non deve mai essere compromessa per non fare ingelosire qualcuno.
Ilaria Perrelli, nelle vesti di presidente della Consulta regionale campana per la condizione della donna, chiede, come riporta Il Corriere della Sera, di introdurre nelle scuole l’educazione ai sentimenti e alla parità: “Il testo e l’ascolto virale sui social di questa canzone da parte di ragazzine giovanissime conferma che c’è un problema culturale enorme. Per questo, al fine di contrastare la violenza, è urgente una legge nazionale che introduca nelle scuole, come materia curriculare, l’educazione ai sentimenti, alle emozioni, alla affettività e alla parità. Bisogna contrastare gli stereotipi e affermare relazioni basate sul rispetto e il riconoscimento dell’altro”.
“Da questo punto di vista, purtroppo, anziché avanzare, stiamo tornando indietro: è di nuovo forte, anche e soprattutto tra i più giovani, un modello culturale patriarcale per cui le donne sono oggetti a disposizione, da sottomettere, possedere, violentare, picchiare sino ad uccidere se intendono esercitare una propria autonomia e libertà. Per questo, la violenza contro le donne è innanzitutto un problema culturale: dopo la scoperta degli stupri, possiamo riqualificare il Parco Verde a Caivano, magari anche raderlo al suolo o procedere, come avvenuto, con gli arresti, possiamo bonificare le periferie, ma questa cultura antica, senza un intervento educativo, rischia di rimanere comunque”, ha concluso, condannando questo tipo di modelli.
“Quelli legati a ‘Malessere’ sono video davvero impressionanti – aggiunge Virginia Ciaravolo, psicoterapeuta e criminologa esperta della tematica della violenza sulle donne anche sui social – Si nota che le fan di Fabiana sono davvero piccole d’età, ma si tratta di bambine che vestono e si atteggiano come donne adulte: hanno vestiti succinti, calzano scarpe col tacco, sono molto truccate e, addirittura, hanno unghie e ciglia lunghe, di quelle che si applicano. Nulla a che vedere con quello che dovrebbe essere la naturalezza di una bambina di nemmeno dieci anni. ‘Malessere’– spiega ancora la dottoressa Ciaravolo – rappresenta un vero e proprio vademecum per cercare il loro uomo ideale. Un uomo che può tenere sotto controllo la donna. Che può scegliere cosa farle indossare. Che può anche decidere di farla rimanere a casa mentre lui va a ballare. Che non ha un’istruzione. Che è pronto a creare ‘tarantelle’, a ricorrere alla violenza anche solo per uno sguardo”.
Marcello Ravveduto, docente di Digital Public History alle Università di Salerno e di Modena e Reggio Emilia, la mette così: “Fabiana rappresenta la negazione dell’emancipazione femminile. Non a caso, la sua immagine, proprio nel video della canzone ‘Malessere’, è tutta costruita sul modello della casalinga americana degli anni Cinquanta: i colori, gli accessori, il modo in cui viene vestita, pur naturalmente rinnovato, la rappresentano come una donna tradizionale della cultura metropolitana napoletana in rapporto all’uomo ‘virile’ che in molti casi ha a che fare col crimine. Poi ci sono dei passaggi nel testo, quando dice, ad esempio, che le piace l’uomo con la barba lunga e i tatuaggi, che sono indicativi delle figure tipiche, dei ragazzi del ‘sistema’ che oggi è rappresentato anche sui social come TikTok e che li vuole tutti, appunto, con la barba lunga come i fondamentalisti islamici e i tatuaggi rappresentativi come nella ‘Paranza dei bambini’. Sono tutti elementi di identificazione che servono alla costruzione di una dimensione culturale nella quale non c’è una donna che, come pure spesso si racconta, si vuole emancipare da un contesto mafioso, tutt’altro: sostiene, alimenta e vuole un uomo che rappresenti, protegga e assicuri quel mondo. Quando nel testo di ‘Malessere’ si dice che le piace un uomo che ‘fa le tarantelle’, ci si riferisce a questo. E, infine, quando si confessa che un ragazzo laureato non è interessante perché evidentemente troppo perbene, si racconta tutta la distanza che caratterizza quelle giovani donne napoletane da ogni altro tipo di contesto”.
Infine, il pensiero di Laura Cesarano Jouakim, giornalista e insegnante presso un istituto superiore, che ha scritto un libro intitolato “Le ragazze del Malessere”: “Da insegnante, ho osservato con sconcerto come le ragazze, oggi, si riferiscano al loro fidanzato come ‘il mio Malessere’. Abbiamo azzerato anni di battaglie senza neanche accorgercene. Solo negli anni ’80, un ragazzo di questo tipo, abusante e maltrattante, sarebbe stato considerato un troglodita da rifuggire come la peste bubbonica. Stiamo facendo passi indietro. E questo è sconfortante dopo tante battaglie. È assurdo inneggiare al ‘Malessere’. Ma gli adulti, oggi, dove sono? Anche chi fa musica e cinema deve prendersi la responsabilità di ciò che propone a coloro i quali sono i più vulnerabili: proprio gli adolescenti”.
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