Valutazione e autovalutazione: è il tema all’ordine del giorno in molte scuole e collegi dei docenti.
Parliamo dell’argomento con Massimo Faggioli, dirigente di ricerca presso l’Indire.
Sono ormai molti anni che si parla di valutazione e autovalutazione delle scuole, eppure ad ogni nuovo anno scolastico sembra sempre di essere all’ “anno zero”. Come mai?
Certo, si può addossare tutto alle “timidezze” del nostro Ministero e a una linea a dir poco indecisa del legislatore in materia di autovalutazione e valutazione ma direi, più in generale, di autonomia scolastica. La legge 107 ha mosso qualcosa, e il primo anno di avvio del Sistema Nazionale di Valutazione ha dato risultati incoraggianti, ma c’è ancora il rischio che queste operazioni siano viste in chiave borbonica, come azioni messe in atto dallo Stato per sanzionare e punire.
C’è tuttavia da dire, come altra faccia del problema, che gli insegnanti reagiscono a ogni forma di valutazione che li riguarda con un’opposizione di principio poco comprensibile. Sorge qualche dubbio sul fatto che i docenti, che come professionisti ogni giorno effettuano valutazioni dei loro studenti, siano realmente convinti del valore formativo della valutazione e non temano invece che si applichi nei loro confronti quella soggettività di giudizio che spesso caratterizza la valutazione dei loro alunni.
Valutare e autovalutarsi è importante, ma a cosa dovrebbe servire?
L’autovalutazione è il modo in cui regoliamo continuamente, in modo quasi inconscio, le nostre azioni quotidiane, è il fulcro della crescita, dell’evoluzione: leggere le proprie azioni, valutarne gli esiti, selezionare e consolidare quelle che ci danno risultati che giudichiamo migliori. Quando queste funzioni si proiettano sulle organizzazioni complesse il processo diventa più difficile. Le organizzazioni tendono a cristallizzarsi in routine, adempimenti, ruoli predefiniti. La scuola non fa eccezione: le pratiche innovative nascono ormai soprattutto dal basso, per iniziativa di individui o di gruppi ma sono poche le scuole che riescono a sviluppare processi riflessivi condivisi e a individuare priorità strategiche che coinvolgano l’intera istituzione scolastica in tutte le sue componenti.
L’autovalutazione è certamente un’ottima “pratica”, ma non c’è il rischio che si limiti ad essere una attività del tutto autoreferenziale?
Certo, un’autovalutazione che fosse un processo isolato, del tutto affidato alla scuola, ci esporrebbe a questo rischio. Molte iniziative di coustomer satisfaction rivolte agli utenti, questionari per i genitori e gli studenti, sono talvolta le sole azioni che si richiamino in qualche modo all’autovalutazione. Ma il SNV prevede molte dimensioni intrecciate in un sistema complesso: l’auto valutazione avviene a partire da dati che fornisce la piattaforma del ministero che consentono di confrontare lo stato della singola scuola con quello di altre scuole dal contesto simile e con i dati regionali e nazionali. Il RAV viene poi reso pubblico e costituisce la base per avviare un processo di rendicontazione sociale. Infine, dall’autovalutazione scaturiscono le priorità del piano di miglioramento, che impegneranno la scuola in tre anni di lavoro e che potrebbero anche costituire una componente importante della futura valutazione del DS. Non bisogna dimenticare poi che in SNV è prevista anche la valutazione esterna delle scuole da parte di equipe dirette dagli ispettori, che avverrà per un contingente annuo del 10% delle scuole italiane. Gli esiti dell’autovalutazione potranno essere quindi confrontati con quelle dei valutatori esterni. Come si vede il nuovo sistema vede l’autovalutazione come un tassello di un mosaico molto complesso è tutt’altro che autoreferenziale.
E se parliamo di valutazione esterna?
Se la valutazione è operata da soggetti esterni, ispettori o altre figure preposte a questo compito, entriamo in un terreno ancora più ostico, perché, in regime di autonomia incompiuta, le scuole vedono sovente queste figure come i “commissari di governo” che inquisiscono e sanzionano le performance dell’istituzione. Nelle sperimentazioni sulla valutazione abbiamo in qualche caso registrato, come risposta, una sorta di cheating collettivo a livello dell’intera scuola. In realtà queste valutazioni, che vengono condotte con protocolli e strumenti trasparenti tesi a leggere la realtà della scuola, i suoi punti di forza e di debolezza, sono una risorsa importante per avere una lettura “altra”, fatta da un occhio esterno. Danno l’opportunità di uscire dall’autoreferenzialità, di confrontare i propri risultati con quelli di altre scuole, di uscire dalla fissità dei ruoli e delle routine comunicative che caratterizzano le istituzioni isolate.
Le scuole sono impegnate proprio in questi giorni nella redazione del “piano di miglioramento”. Ma di cosa si tratta, precisamente?
Tutto il sistema nazionale di valutazione è finalizzato al miglioramento della qualità dell’offerta formativa e degli apprendimenti. Le priorità strategiche che derivano dall’analisi autovalutativa devono confluire, a partire dall’avvio di questo anno scolastico, in un piano di miglioramento (PdM).
Non è solo un cambiamento di nome per le consuete pratiche progettuali delle scuole. Il PdM è un documento che, rispetto al tradizionale progetto, si caratterizza perché:
– è data driven, muove cioè dalla lettura critica dei dati dell’autovalutazione.
– muove dall’individuazione, fatta nella sezione 5 del RAV, di poche priorità strategiche che impegnano tutta la scuola e dai relativi traguardi triennali
– è un processo condiviso dove si esprime l’autonomia della scuola
– ne è responsabile il Dirigente Scolastico, che fa parte del nucleo operativo della scuola
– per ogni obiettivo, funzionale in modo esplicito al raggiungimento dei traguardi, sono analizzati la fattibilità e l’impatto, le risorse umane e finanziarie da impegnare, i tempi e gli indicatori su cui basare una periodica misurazione degli esiti del piano.
E’ forse questo il punto più originale che differenzia la pianificazione dalla progettazione tradizionale: qui gli obiettivi sono dotati di indicatori e la scuola si dà una tempistica per effettuare misurazioni cicliche dei risultati e all’occorrenza apportare modifiche o correzioni al piano stesso.
Tutto bene allora, o ci sono punti deboli nel nuovo sistema di valutazione?
Il rischio maggiore che vediamo è l’appiattimento sui risultati a breve termine. L’enfasi sui dati, sui risultati di apprendimento, rischia di spingere le scuole ad adottare misure dal respiro corto e dagli effetti pressoché immediati. Se si aggiunge che i traguardi del RAV finiranno con l’avere un ruolo importante nella valutazione dei dirigenti scolastici, con effetti anche economici e di carriera, pochi avranno il coraggio di incamminarsi in percorsi innovativi che aggrediscano i veri problemi della scuola, come la prevalenza della didattica trasmissiva e la quasi assenza di quella laboratoriale, o una revisione profonda del tempo e dello spazio dell’ambiente di apprendimento, e molti si assicureranno invece percorsi semplici e strumentali per migliorare i risultati delle prove INVALSI o degli scrutini, con un dilagare del triste fenomeno del teaching to test di cui la scuola italiana non ha davvero bisogno!
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