A Bologna c’è un vero e proprio allarme relativo ai ragazzi che vanno scuola armati di coltello. Lo riporta Il Corriere della Sera, secondo cui si sia sviluppata una sorta di abitudine tra i giovanissimi, che vanno a scuola con armi da taglio perché “fa figo” o perché “dà sicurezza” in chi si sente magari più fragile.
A puntare i riflettori su questo tema è Laura Tagliaferri, responsabile del servizio Giovani del Comune di Bologna, commentando l’omicidio di qualche giorno fa di un ragazzo di sedici anni, Fallou Sall, ucciso da un coetaneo dopo una rissa. Quest’ultimo, che ha avuto modo di incontrare i genitori per la prima volta dopo il fermo, non ha negato le proprie responsabilità.
Il ragazzo ha dato la sua versione dei fatti, raccontando di vessazioni subite da tempo da parte di un altro 17enne bengalese, invece rimasto ferito, sul ruolo del quale ha insistito parecchio, e su un’aggressione alla quale avrebbe risposto accoltellando alla cieca.
L’assassino ha ucciso un altro ragazzo, Fallou Sall, e ha detto: “non lo conoscevo, non era con lui che ce l’avevo e non era con lui che litigavo”. Il 16enne ha raccontato mesi di minacce subite via Whatsapp: “audio vocali infiniti” contenenti insulti e frasi senza senso, che il ragazzo ferito “mi faceva inviare da un altro amico. Lo costringeva a bullizzarmi”. L’indagato ha confessato anche l’abitudine di portarsi dietro un coltello, non per paura di qualcosa in particolare.
“Purtroppo — riferisce la dirigente comunale — parlando anche con altri genitori e con i nostri ragazzi, sembra che molti vadano a scuola, anche alle medie, con il coltello in tasca o nello zaino. E questa è una cosa molto grave, che noi adulti non sappiamo. Anche quando devono scegliere le scuole superiori, i ragazzi iniziano a pensare a quali sono quelle più tranquille a livello di frequentazione. Non perché siano scuole pericolose, ma perché magari sanno che quello ha scelto quella scuola e magari è un ragazzo che ha l’abitudine di portare con sé il coltello”.
Gli adolescenti, insiste, “cercano, oltre la scuola, qualcosa che li impegni attraverso attività creative, che non siano rigide come quelle fatte in classe in mattinata. E soprattutto hanno bisogno di incontrarsi. Quando facciamo i colloqui motivazionali, per capire se sono interessati ai nostri progetti, la prima cosa che ci dicono è che partecipano per cercare nuovi amici. Perché hanno difficoltà di relazione, non sanno più parlare tra di loro. Comunicano con i cellulari, ma non si telefonano: esiste solo la chat. E poi quando si trovano, spesso magari fanno fatica a parlarsi”.
“Non c’è neanche più la comunicazione, il momento in cui il ragazzo o la ragazza dice alla mamma che ha preso un quattro o ha preso un otto. È tutto filtrato dalla tecnologia, e questo da una parte non fa bene”, ha concluso.
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