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Fame di segni e di testimoni

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Quando, nei giorni scorsi, l’attuale ministro dell’istruzione ha proposto di togliere i crocifissi dalle aule scolastiche, sostituendoli con carte geografiche o fascicoli della costituzione, tutto sommato, non mi sono meravigliato.

Ho riflettuto, infatti che, nei nostri tempi, si è andata molto diffondendo l’abitudine di evitare, negli ambienti di vita, immagini di esplicito messaggio valoriale, preferendo rappresentazioni oggettuali, simboliche, decorative, astratte. E’ evidente che, nella nostra cultura, sembra esserci posto ormai solo per emozioni estetiche e formali.

Così, nell’appartamento tipo di una giovane coppia, sarà difficile trovare esposta la foto di un parente scomparso oppure un’immagine sacra.

Tutto questo, a mio parere, è conseguenza sia del primato della cultura scientifica, distaccata e non valutativa, sia espressione di un certo pudore, proprio dell’uomo contemporaneo, propenso a custodire i valori personali e sacri nell’intimità della coscienza.

Non si capirebbe, altrimenti, perché persino individui credenti e praticanti mostrino, oggi, una tenace riluttanza ad esporre immagini religiose. Eppure, c’è sul mercato un’offerta di icone stilizzate che colgono molto bene i nuclei concettuali della fede, con una genialità non sempre presente nell’ingenuo genere raffigurativo tradizionale.

Posso sbagliarmi, ma ci troviamo di fronte ad un atteggiamento del tipo: “Credo ma non mi dichiaro”.

Tutto ciò avviene, nei casi migliori, per la riservatezza che meritano le cose importanti in cui crediamo, come dicevo sopra, mentre, nei casi ordinari, questo è ascrivibile all’incapacità di sottrarsi al condizionamento che la cultura odierna, agnostica ed immanentistica, esercita su di noi.

In ogni caso, chi agisce in questo modo, non si accorge che c’è, in tale comportamento, un prezzo negativo da pagare. Quello di rinunciare al ruolo creativo esercitato dalle immagini sulla mente e sulle nostre abitudini di vita. Le rappresentazioni, infatti, possiedono un grande potere cognitivo ed emotivo. Così, la foto espressiva di nostra madre scomparsa, posta coraggiosamente in vista al centro della casa, rinfocola in noi sentimenti di affetto e d’interazione spirituale con chi vive ormai nel giorno eterno. Come un crocifisso, solennemente esposto sopra il caminetto, esercita la funzione di spronare continuamente lo spirito alla lode, alla gratitudine, all’offerta, all’invocazione.

Ogni uomo è un mistero e non giudico nessuno. Ma voglio dirlo. Quanto siamo ipocriti! Ci commuoviamo di fronte alla scena di un film, ci esaltiamo ascoltando le note di una canzone ma non abbiamo il coraggio di ammettere che esiste un’innegabile continuità fra mondo esteriore e mondo interiore, fra esperienza sensoriale ed esperienza emotiva e spirituale. Senza contare che le immagini possiedono anche una insostituibile capacità educativa.

Quando un bambino comincia a mettere a fuoco ciò che vede e ad organizzare la conoscenza, per prima cosa scruta l’ambiente circostante, in particolare le pareti di casa, puntando il suo piccolo dito indagatore sulle immagini che noi gli proponiamo come cibo della mente. Sia chiaro. Noi, oggi, corriamo il pericolo di generare una cultura asettica, ossessivamente ricca di analisi fenomeniche ma terribilmente vuota di emozioni metafisiche, di ancoramenti ai fondamenti della realtà.

Subiremmo, anche noi, in questo caso la deriva sconcertante di nazioni quali gli USA,  la Francia ed altri, nei quali fare in classe un discorso sul senso del mondo e della vita è rigorosamente proibito perché invade l’ambito coscienziale. Eppure, l’educazione non può esaurirsi soltanto nel trasmettere, nel modo più efficace, saperi strumentali, adeguati ad un certo tipo di civiltà, nella più assoluta neutralità valoriale.

Una cultura deve focalizzare, nel suo procedere, anche i valori per i quali vale la pena di vivere. Perché, se vivere è un camminare senza mete, sia intermedie che supreme, ecco allora profilarsi il deserto dell’insensatezza, che condanna i giovani alla solitudine ed al risentimento verso un universo muto ed opaco.

Quanto a Gesù, sono convinto che ad oscurarlo nel cuore degli uomini non sarà tanto la rimozione dei crocifissi dalle pareti, quanto la scomparsa di gente che lo conosce attraverso una relazione diretta. Sono certo, infatti, che non esiste testimonianza più convincente sulla presenza di Gesù dello sguardo di chi lo frequenta.

Luciano Verdone