“Se fosse vivo, il prete di Barbiana, dove le porte erano aperte, sarebbe esattamente tra chi il leader della Lega vuole cacciare: tra gli immigrati, nei campi rom, in mezzo ai rifugiati. Il suo motto, ‘I care’, era l’esatto opposto del ‘me ne frego”. Così scrive Famiglia cristiana, in un articolo intitolato “Caro Salvini, non citi don Milani a sproposito”, dopo che poche ore prima, durante la manifestazione a Roma, Salvini aveva detto: “Mi piacerebbe si studiasse don Milani perché ‘a leggi sbagliate si deve disobbedire finché non cambino’ ed in Italia sono tante”.
“Caro Salvini, per favore, – si legge nell’articolo del settimanale dei paolini – giù le mani da don Milani. Non tanto perché don Milani non era uomo di nessuno se non del Vangelo da vivo, e non ci pare opportuno che venga ascritto alla ditta di alcuno da morto (vale anche per altri che l’hanno tirato per la tonaca in questi anni). Men che meno a una ditta che si sente più affine – a giudicare dalle dichiarate sintonie lepeniane – al “me ne frego”, che all’ I Care, che c’è ancora sulla porta della stanzetta ch’era stata di don Lorenzo, lassù a Barbiana. Non tanto perché probabilmente, se fosse vivo, don Milani troverebbe le Barbiana di oggi ai margini attuali. E sarebbe fin troppo facile dirsi che il margine del margine, qui e ora, sono i bambini che sbarcano soli a Lampedusa o che sfuggono alla scuola perdendosi sulla strada che porta ai campi rom”.
“Sarebbe facile come sparare sulla croce rossa, – continua Famiglia Cristiana – ma il gioco di tirarlo per la tonaca non piace farlo neanche a noi. Sarebbe anche fin troppo facile smontare l’appropriazione indebita a forza di citazioni, saccheggiando quello che don Milani ha detto e lasciato scritto, ma sarebbe riduttivo, perché l’incompatibilità tra Salvini e don Milani è, ancor prima che nel merito, nel metodo. Tutto il lavoro che don Milani nella sua vita ha fatto, al di là delle parole dette, ha mirato a una sola cosa: dare ai poveri, ai fragili, ai marginali parole e cultura sufficienti per difendersi da chi avrebbe potuto prevaricarli e tirarli dalla propria parte a suon di slogan a buon mercato. Voleva che imparassero a difendersi, con la forza della ragione, dalla politica che parla alla pancia, indipendentemente dal suo colore. La sua era, prima di tutto, una scuola di senso critico. Non solo, nella sua scuola si studiavano lingua e lingue: i suoi ragazzi imparavano a vivere aperti all’Europa e al mondo, andavano a imparare, lavorando in fabbrica o nei campi, il tedesco in Germania, l’Inglese in Inghilterra, l’arabo in Algeria”.
“Basterebbe questo – scrive ancora il settimanale dei paolini – a segnare la distanza con Salvini. Ma v’è di più. Nella scuola di don Milani le porte erano aperte, non solo in uscita per andare nel mondo a imparare, ma anche in entrata: capitava che politici con la parlantina sciolta e la promessa facile venissero invitati a parlare, dove parlare voleva dire essere sottoposti a un fuoco di fila di domande scomode, da un plotoncino di ragazzini impertinenti e preparati a smontare gli slogan pezzo a pezzo. Gli slogan di tutti, a maggior ragione di quelli che suonavano sirene che avrebbero potuto incantare i poveri facilmente. Ai comunisti don Milani diceva: “Voi tradite i poveri due volte perché a differenza d’altri dite di stare dalla loro parte”, ma non risparmiava nessuno. E se, davanti al suo criticare nel merito tutti: preti, comunisti, democristiani, un ragazzo chiedeva spiazzato: “Ma allora chi ha ragione?”. Rispondeva: “bischeri, la verità non ha parte”. E intanto insegnava loro a cercarla, smascherando senza pietà, le menzogne della politica, specie di quella che da sempre fa del “parla come mangi” la sua ragion d’essere. Non sappiamo, anche se possiamo immaginarlo come sarebbe stato un pomeriggio di Salvini a Barbiana, ma siamo abbastanza convinti che se ci fossero in giro tanti don Milani, i Salvini di turno avrebbero minor seguito”.
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