La parità scolastica per decenni è stata richiesta tenacemente da alcuni e contrastata pervicacemente da altri in schieramenti opposti, ma le divisioni non hanno riguardato solo quanti perseguono un rigido monopolio scolastico dello Stato, ma anche quanti sono favorevoli ad un sano pluralismo.
I sostenitori del pluralismo si sono divisi tra quanti chiedono fondi da assegnare direttamente alle scuole paritarie e coloro che li chiedono a disposizioni delle famiglie e da versare alla scuola prescelta.
Eppure le ragioni portate dai due schieramenti sono tutte valide e ragionevoli: sia quelle a favore della gestione degli istituti paritari che quelle in favore dei genitori, il dramma è stato che si sono poste in alternativa per decenni, invece di riconoscere che sono due strategie necessariamente complementari.
E’ di immediata evidenza che non basta assegnare sussidi per la sussistenza e la buona gestione dei servizi pubblici, è indispensabile che siano nel contempo accessibili da tutti, per non rischiare che le risorse pubbliche finiscano a beneficio esclusivo degli abbienti, che dispongono delle risorse necessarie per frequentarli. La riprova di questo fenomeno si può verificare nel caso della diffusione dei nidi d’infanzia, che viene accompagnata da subito da interventi di Stato, Regioni e Comuni per renderli gratuiti e accessibili anche alle famiglie a basso reddito, che frequentano sia i nidi pubblici che quelli a gestione privata accreditata.
La stretta connessione che ci deve essere tra l’esistenza e l’accessibilità dei servizi pubblici veniva puntualizzata da anni dallo stesso Consiglio di Stato secondo il quale: “…la pluralità dell’offerta formativa è tale solo se i destinatari sono realmente posti in condizione di accedere ai percorsi scolastici offerti… perché solo in tal modo si tutela la libertà di scelta e si assicura la pari opportunità di accesso ai percorsi offerti dalle scuole non statali. (sentenza n. 5739 – 2019).
Viceversa il permanere della contrapposizione invece che della complementarietà si può spiegare dal fatto che fin dall’entrata in vigore della Costituzione Italiana (1948) il dibattito tra le forze politiche e culturali ha riguardato le scuole in riferimento all’interpretazione del comma 3 dell’articolo 33, che puntualizza: “Enti privati hanno diritto di istituire scuole senza oneri per lo Stato”, mentre è stato completamente ignorato il comma 4 dello stesso articolo in base al quale la Repubblica doveva: “assicurare agli alunni delle scuole non statali il trattamento equipollente a quello degli alunni di scuole statali”. Può dirsi equipollente un trattamento quando le statali sono gratuite e le private a pagamento, quindi non accessibili per i meno abbienti? Questa domanda, purtroppo, non poteva essere sollevata in un contesto sociale con al centro l’alternativa tra il diritto di insegnare dello Stato o quello dei privati, ed erano sottaciuti i diritti di apprendere degli studenti e quello di educare dei genitori. Di conseguenza si è protratta per decenni la diatriba politica nell’interpretare il comma 3 tra chi ritiene che esso escluda ogni finanziamento alle scuole private e chi ritiene che esso escluda l’obbligo ma autorizzi la discrezionalità dello Stato nel sovvenzionarle.
Le conseguenze sono state che in forza di questa discrezionalità le scuole private prima e le scuole paritarie, dopo la legge di parità, hanno ripetutamente sollecitato sussidi indispensabili per la loro sopravvivenza, essendo obbligate ad “accogliere chiunque che, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap”.
Purtroppo i sussidi hanno continuato ad essere così pochi da costringere molte scuole paritarie a chiudere in quanto dopo ottantanni circa le sovvenzioni della Stato arrivano oggi a circa mille euro per allievo rispetto ai settemila del costo medio di studente, certificato ogni anno dal Ministero.
Di fronte a questi risultati, così modesti e gravemente lesivi della libertà educativa di scuole e famiglie, per iniziativa di alcune Regioni, alla luce dell’articolo 30 della Costituzione e della legge di parità, per una accresciuta sensibilità sociale favorevole alla libertà di scelta educativa per studenti e genitori, si è affermata negli anni un’altra strategia che prevede di “ introdurre un voucher (cosiddetto « buono scuola ») da destinare alle famiglie che scelgono per i propri figli una istituzione scolastica paritaria, subordinando la misura a indicatori reddituali, che garantiscano di contemperare la libertà e il pluralismo educativo con il rispetto dei doveri solidarietà sociale” (Ordine del giorno della Camera n. 9/2112-bis-A/233 del 20 dicembre 2024).
Questa nuova strategia non è da confondere con un semplice intervento assistenzialistico per i poveri, ma come puntualizzato dalla stessa legge di parità, è da intendere come: “sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l’istruzione mediante… interventi realizzati prioritariamente a favore delle famiglie in condizioni svantaggiate (comma 9,11 della legge 62 – 2000).
Come dire che si vuole cominciare dalle famiglie a basso reddito, senza escludere che si possa arrivare a compensare le spese a tutte le famiglie che frequentano le scuole paritarie e raggiungere per i loro figli/allievi “il trattamento equipollente a quello degli alunni di scuole statali (art.33,4).
L’avvio del buono scuola anche a livello nazionale e non solo a livello Regionale e Comunale, si fa, quindi, carico dell’accessibilità e degli istituti paritari e non implica affatto che si debbano sospendere i sussidi in favore delle scuole, a beneficio della loro qualità gestionale e formativa.
Ne sono riprova le dichiarazioni e i provvedimenti del Ministro che ha confermato in più occasioni la volontà di “introduzione del buono scuola per garantire la libertà di scelta educativa a tutte le famiglie, anche a quelle meno abbienti e, nel contempo, di valorizzare tutte le realtà educative del sistema nazionale di istruzione di cui fanno parte, sia le scuole statali che paritarie, evitando discriminazioni ingiustificate”. Coerentemente in questi mesi è stata assicurata l’abilitazione necessaria ai docenti delle paritarie e finanziamenti aggiuntivi legati alla partecipazione delle scuole a bandi per la didattica digitale, l’integrazione di allievi con disabilità. la dispersione scolastica, le nuove competenze, i nuovi linguaggi, l’innovazione tecnologica …
Famiglie e scuole paritarie non possono che procedere insieme nel chiedere alla Repubblica di “dare compimento alla libertà educativa” che possa realizzarsi in scuole statali e paritarie sempre più qualificare e accessibili a tutti, a parità di condizioni economiche.
Giuseppe Richiedei
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