Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente intervento del prof. Giovanni Cogliandro, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo “Mozart” di Roma.
La famiglia Mattson si trasferisce a Siracusa qualche mese fa e i genitori iscrivono i loro figli a scuola. Dopo poco tempo si presentano i primi problemi, soprattutto per due dei loro quattro figli. Dopo un paio di mesi decidono quindi di andare via dalla Sicilia e di tornare in Spagna dove avevano già vissuto in precedenza e con una lettera aperta pubblicata in questi giorni da un giornale locale la signora Mattson spiega le ragioni della loro decisione. Una lettera a tratti irritante, ma con qualche argomentazione che merita attenzione.
Voglio iniziare dalle conclusioni della lettera aperta: “Perché non tutti i bambini dovrebbero avere le migliori premesse per l’apprendimento? Perché non vi rendete conto dei benefici dell’aria fresca? Gioca e impara! Realizza i vantaggi delle pause all’aperto e trasforma i cortili della scuola in luoghi divertenti in cui giocare”.
Condivido l’approccio volto all’interazione tra bambini e realtà, istituzionale, sociale e naturale. L’apprendimento articolato nelle piccole attività della quotidianità, che plasma insieme concetti e attività, che si svolge con un continuo senso del proprio collocarsi in comunità, grazie alla capacità di auto-organizzarsi della comunità medesima, è sicuramente un ottimo antidoto al paternalismo tipico dell’istituzione scolastica.
In questo tempo di crisi anche nel nostro contesto urbano si acutizzano le problematiche di convivenza civile e si è ridotta ulteriormente la sensibilità interculturale. Ritengo necessario riscoprire la curiosità, la meraviglia, la gentilezza, la capacità di ascoltare gli altri, virtù eccelse che ci rendono veramente persone umane, virtù da coltivare continuamente e a tutte le età della vita, in classe come in famiglia.
La lettera in cui la signora Mattson elenca le mancanze, a suo dire, gravi della scuola dei suoi figli parte a mio parere da una concezione legittima ma tipicamente nordica della Scuola. Premesso che ogni singola istituzione scolastica si organizza in autonomia, con i suoi limiti e con le potenzialità che trova tra il personale e i docenti.
In un incontro tra culture così diverse quali quella del Nord Europa che ha una visione un po’ oleografica del Meridione e la nostra, che io chiamo ‘meridiana’, caratterizzata da un pensiero, un atteggiamento verso la vita e una magari lentezza anche amministrativa, che, come bene analizzato da Cassano nei suoi saggi sul pensiero meridiano distingue il Sud d’Italia anche dal resto dell’Italia. Orbene un tale atteggiamento più dialogico e rilassato verso le problematiche della quotidianità di fronte alla cultura di estrazione protestante efficientista, più incentrata sulla tutela dei diritti quale quella del Nord Europa, in particolare scandinava, condizione anche in positivo la relazionalità della comunità scolastica e la sua gestione della quotidianità. La differenza è che noi non ci permettiamo di giudicare una cultura così diversa, nella quale gli alti livelli di tutela dei diritti sociali, innegabili, sembra non aumentino il senso di comunità e il benessere interiore delle persone, malmeno visto quanto rilevato dai sociologi.
Rispondo alla critica sollevata dalla famiglia finlandese in merito al fatto che i bambini svolgano poche attività all’aperto rispetto a quanto la signora si aspettava, riflettendo sul fatto che nella scuola che dirigo le attività all’aperto sono numerose ma questo non per mia decisione unilaterale ma perché il corpo docente sia all’infanzia che alla primaria, e anche alla secondaria, ritiene che le attività all’aperto siano fondamentali. Però non è detto che il corpo docente condivida questo approccio e non è detto che qualcuno glielo debba imporre, proprio perché prendiamo seriamente l’autonomia scolastica come declinazione della scuola comunità educante che altrimenti non avrebbe senso, sarebbe solo un ufficio tra gli altri.
La scuola comunità come dicevo prima non è la scuola paternalista, non è una scuola che determina il modo in cui devi svolgere il tuo compito, ma ti assegna un compito che poi vieni lasciato libero nelle modalità in cui svolgerlo.
La scuola italiana a mio parere non ha nulla da imparare da queste critiche, visto quanto abbiamo realizzato in questi decenni sulla scorta delle innovazioni didattiche e visionarie di Mario Lodi, Gianni Rodari, Lorenzo Milani, Luciano Corradini e molti altri, ma ancor prima dalla visione olistica che deriviamo dalla nostra cultura classica plasmata dalla filosofia e dall’amore per il bello. Il nostro Liceo si chiama così perché era il nome della scuola di Aristotele, l’Accademia si chiama così perché era la scuola di Platone, l’idea stessa di Scholè è di derivazione greca, che l’Italia ha fatto propria come paradigma pubblico alla fine del XIX secolo, molto prima di molte altre nazioni di cui i cittadini ora pretendono di darci lezioni non richieste. Questo approccio metodologico, i cui frutti risplendono nei nostri studenti e nei nostri alunni, consente di creare un filo relazionale resistente ed emotivamente proficuo tra persone che assurgono a ruolo di interlocutori credibili dai loro pari.
Tra i principali rilievi presenti nella lettera anche i seguenti: i bambini dell’asilo sono seduti per lo più dentro, attorno a un tavolo a fare piccole cose solo con le mani. Ci sarebbe troppo lavoro individuale, non c’è lavoro di gruppo, né cooperazione. Ritengo anche in questo caso pretestuoso privilegiare sempre il lavoro manuale o la permanenza all’aperto, che pur apprezzo da sempre al di là delle sue origini a volte ideologiche nel Goetheanum di Steiner, in quanto se compresa e praticata con equilibrio può davvero evolversi in una metodologia incentrata sull’outdoor education, che contribuisco personalmente a diffondere poiché da un paio d’anni insegno in un master dedicato proprio all’outdoor education presso l’Università di Roma TRE ma che non va ideologizzata come mi sembra di percepire.
Nel processo di apprendimento tra pari il ruolo dell’insegnante o dell’educatore in generale è fondamentale per supervisionare e facilitare i meccanismi di interazione che si vengono a creare, realizzando una rete armonica di suoni, colori, concetti e parole.
Laddove le famiglie hanno difficoltà nel dialogo educativo, penso sia necessaria un’educazione tra coetanei, con la guida dei nostri insegnanti che stanno crescendo nella loro competenza di docenti e nella curiosità propria di una formazione permanente vera e condivisa con il dirigente scolastico, secondo una metodologia di educazione alla bellezza e di studio della filosofia che da quattro anni viene sperimentata nella Scuola che dirigo e non solo.
Mi auguro che con l’evolversi degli scambi con culture diverse i nostri docenti e studenti comprenderanno sempre più come il nostro mondo è un sistema di volti e valori belli proprio per via della loro poliedricità e per la loro diversità e che proprio per questo motivo possono e potranno sempre apprendere a costituire il macrocosmo terrestre e il microcosmo in cui ogni giorno ci muoviamo, a partire dalla Scuola.
Giovanni Cogliandro