Assistere al tramonto dell’anno vecchio e restare svegli tutta la notte per ammirare l’alba di un nuovo anno, è una consuetudine dei tempi moderni.
Tuttavia, ciascuno, come in passato, sogna di evadere dal presente e prendere il largo verso mete più felici e gratificanti.
Ripercorrendo i mesi del calendario 2018, davanti ai nostri occhi si schiudono orizzonti ricchi di eventi, più negativi che positivi, dal punto di vista politico, culturale, sociale, educativo, economico, scolastico e familiare.
Emergono problemi e mistificazioni celebrate sotto il nome di una società fraterna, di una famiglia amorevole, di una economia solidale, di una politica vera, di una cultura feconda, ma, soprattutto, riaffiorano labili e contraddittori cambiamenti per riscattare la scuola, per creare sotto l’etichetta di pseudo innovazioni scolastiche orientate ad accrescere il valore dell’educazione, un nuovo ponte tra scuola e società, tra scuola e famiglia, tra docenti e alunni e placare quel tempestoso e diffuso malessere e disagio educativo.
Nell’oscuro percorso dell’esistere il giovane, facilmente, si imbatte in fatti e idee che dovrebbero aiutarlo a far emergere l’aspetto più acuto e suggestivo del suo crescere verso la costruzione di una personalità piena, convinta, matura e responsabile. Ma non sempre è così. Le distrazioni, le paure, le comodità, le cattiverie, svuotano la vita del valore, della forza e dello splendore dell’amore. Ed è proprio lo splendore l’espressione più bella di questo nostro vivere, di un’educazione che deve costituire il richiamo a diventare più pazienti e più disponibili all’accoglienza e all’ascolto dell’altro.
In questo nuovo anno, per riempire questi vuoti, per creare una educazione nuova, il mezzo più umile ed efficace è quello di incominciare a riformare situazioni sociali e personali, a vivere il proprio tempo come un impegno gravido di soluzioni risolutrici delle nostre autentiche esigenze e, soprattutto, capace di dare luce, senso e valore alla nostra vita.
Guidare questo cammino è il compito più affascinante di ogni educatore che non è chiamato ad accogliere immediate e piacevoli mode, ma interpretare il mondo che pulsa attorno ad ogni ragazzo e farsi portatore, amministratore, elaboratore di beni e valori educativi superiori.
Troppo spesso, però, a livello educativo, non si tiene conto dell’incontro dinamico di tanti fattori e non si fa critica in prospettiva positiva, cioè, come condizione che abbia forza costitutiva sul piano etico, ma si fa libera opposizione negativa che impedisce ogni forma di dialogo e la valutazione oggettiva dei fatti e dei problemi.
Pertanto, in questo nostro tempo che potremmo definire “età della critica”, l’educatore deve essere forza amorevole e paziente che attira e che sospinge, che apprezza le esigenze e le risorse della valorizzazione psicologica e morale, partendo da quanto di positivo il giovane ha in sé in un clima di fiducia e di gioia reciproca.
Per supplire a tutte le deficienze di una famiglia, di una cultura e di una società che poco o nulla riescono ad attuare del principio della valorizzazione soggettiva, che si fonda sull’adesione della volontà al bene, non basta che i doveri siano anche valore, ma devono dimostrare di esserlo.
Infatti, è attraverso la nobile arte della valorizzazione soggettiva che ogni momento di crescita, ogni nozione intellettuale tenderà a favorire la libera adesione alla ragionevolezza e farà sì che nell’educando trionfi la facoltà del bene, “l’appetitus boni”.
Questa visione della vita e dell’educazione aiuta, gradualmente, a scoprire gli aspetti positivi della realtà, impedisce di irritarci e ci invita, nei momenti giusti, a tacere e, tacendo, a gridare con il grido della pazienza, perché la pazienza fa parte della natura del dialogo educativo: senza di essa la relazione educativa e affettiva è destinata ad arrestarsi alle prime parole.
Per questo, pur trovandoci in contesti educativi ancora complessi, difficili e problematici, dove lo sviluppo giovanile è ricchissimo di novità e situazioni ad altissimo influsso e condizionamento di comportamenti buoni o cattivi, l’educazione familiare e scolastica richiede inevitabilmente l’esercizio costante della virtù della pazienza.
Senza la forza della pazienza i genitori e gli educatori non possono creare le condizioni ideali nelle quali i fattori educativi agiscono ed operano con maggiore probabilità di successo, né tantomeno, nel processo ordinario della vita, possono aiutare il ragazzo a gestire e controllare, improvvisi, violenti e sconvolgenti risvegli di gioia, di dolore, di solitudine o di angoscia.
Quando il giorno declina e si allungano le ombre della sera e si raffredda il calore dell’amore, tocca alla famiglia e agli educatori mettere in atto l’arte della valorizzazione soggettiva che porta alla stima di sé, tende al bene ed è espressione di un atto di volontà, di un comune cammino che consente di affrontare serenamente le fatiche della vita.
Consapevoli di questa universale convinzione circa la necessità della pazienza come disposizione interiore per dialogare, per ascoltare, prima di parlare, la voce del cuore, genitori e docenti non possono essere considerati persone che invadono l’intimità personale per portarvi una legge esterna, per incatenare a un dovere, ma anime che, guidate e sorrette dall’amore educativo, hanno occhi, orecchi e cuore per i giovani, che sanno pazientare e vibrare con essi nel bene per gioire e nel male per ricercare motivi di fiducia e di speranza.
Entrare dentro le sempre più complesse vite dei ragazzi, per aiutarli a capire ed a capirsi, per condividerne ansie, gioie, ricerche, situazioni limpide e intricate è il dono più bello.
E allora, in questa ontologica ricerca del bene, la pedagogia della pazienza è garanzia di efficienza educativa, irresistibile forza che desidera avventurarsi nel sentiero delle virtù che colgono il senso dinamico della personalità e sono espressione di luce, forza e verità.
Fernando Mazzeo
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