Dire che siamo rimasti tutti sgomenti per la scelta russa di invadere l’Ucraina, scegliendo la via delle armi invece della composizione del conflitto col confronto ed il dialogo, è un sentimento che ci accomuna tutti.
Non può essere quasi automatico il ricorso alle armi, questo ci stiamo dicendo da giorni, per risolvere una controversia. Noi, cioè, prima di essere volontà, compresa quella che Nietzsche ha chiamato volontà di potenza, siamo cuore, siamo ragione, siamo sentimento, siamo anima.
Per cui, prima di affidarci alla volontà di potenza, che punta non a ciò che unisce ma a ciò che divide, dobbiamo, o dovremmo, affidarci a pensieri carichi di umanità, sapendo dalla storia che tutte le guerre, soprattutto le guerre contemporanee, finiscono per il 90% col colpire i civili, le persone innocenti.
Noi in Italia non abbiamo, grazie a Dio e agli uomini, esperienza della guerra dal 1945. Ma sappiamo anche che, purtroppo, guerre ce ne sono state molte in questi ultimi decenni nel mondo.
Pensiamo, a pochi chilometri da noi, al conflitto jugoslavo di metà anni novanta del novecento, e sappiamo quanto dolore ha causato.
E pensavamo che non potesse e non dovesse succedere più in questa nostra Europa. Non è vero che, come dicevano gli antichi, “la guerra è madre di tutte le cose”, che noi siamo figli dì Ares.
Che cosa ci ha insegnato anche la pandemia? Che siamo legati gli uni agli altri, che nessuno si salva da solo, che, cioè, siamo interdipendenti.
Credo che ribadire e gridare a gran voce che la guerra, come recita l’articolo 11 della nostra Costituzione, non può e non deve essere mai una via preferenziale per la composizione dei contrasti è una cosa importante.
Dopo due anni di pandemia pensavamo, visti gli ultimi dati, che fosse arrivato il tempo della ripresa della socialità. Invece ci ritroviamo quasi immersi in un altro momento difficile, doloroso, tragico.
La speranza è, per tutti noi, che anche attraverso questi momenti tragici emerga un sentimento di fraternità tra tutti, al di là di tutte le inevitabili differenze, e che tutti ci impegniamo, nelle nostre relazioni, a cogliere ciò che unisce e non ciò che può dividere.
In poche parole, maturare la convinzione che il “no alla guerra” parte anzitutto da noi, dai nostri comportamenti, per poi diventare uno stile di vita dei rapporti tra popoli e nazioni. Le parole e le invocazioni di Papa Francesco e del nostro presidente Sergio Mattarella possono essere d’ausilio in questa meditazione.
Aiutiamoci, dunque, a far tacere tutte le armi, a partire dalle nostre parole, creando un clima di solidarietà e di reciproca comprensione.
Per il rientro a scuola di giovedì faccio, infine, una proposta: che ogni bambino, ogni ragazzo, ogni docente, nelle forme consone, porti a scuola un biglietto con un suo pensiero di pace, sul valore della pace, su come vivere in pace. E giovedì, alla prima ora, ci sia, riflettendo insieme, una sorta di scambio di auguri.
Un breve pensiero, un disegno, un piccolo cartellone, un collage … semplici, sentiti, veri. Gesti piccoli e grandi al tempo stesso, pensando a tutti coloro che stanno soffrendo in Ucraina e nelle troppe guerre dimenticate.
Un gesto di vicinanza e di solidarietà.
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