«L’investimento del primo anno di governo è stato principalmente sulla scuola, ora ci concentriamo sull’università. Ora ci occupiamo oltre che di carriere dei docenti, per carità fondamentale, ma anche e soprattutto di presente e futuro degli studenti, mettendoci testa e risorse».
Il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone, intervistato da La Stampa, risponde sul sistema universitario italiano
«Sicuramente il diritto allo studio è una priorità, da affrontare con politiche nazionali, più centralizzate. E’ anche il meccanismo a produrre effetti paradossali e circoli viziosi, non solo la carenza di risorse».
«E infatti- spiega Faraone a La Stampa- vengono favoriti quegli atenei che si trovano in territori dove l’ente Regione è più virtuoso. Dove le regioni fanno scelte di priorità finanziando tutto il diritto allo studio, come Toscana o Emilia Romagna. In Sicilia, dove neanche c’è una legge sul diritto allo studio, ci sono solo i fondi statali e chiaramente non bastano, soltanto il 20% degli idonei meritevoli riceve la borsa di studio e la Regione non ha mai messo un euro su questo. Così si alimenta non solo la disaffezione ma anche l’impossibilità per alcuni di accedere all’università. Oppure si spingono le famiglie meridionali a mandare i ragazzi a studiare fuori, al Centro, al Nord, dove le borse di studio si prendono e i servizi tutto sommato funzionano. La situazione per il Sud e le Isole è tragica. Ma a perderci è tutto il Paese».
E il governo «da mesi ci sta lavorando. Ricordo che in stabilità abbiamo messo 50 milioni di euro in più e che il fondo per il diritto allo studio ha superato i 200 milioni di euro. Il Pd ha presentato una mozione concordata con me e con il Ministro Giannini, con cinque impegni concreti. Tra cui stabilizzare quel fondo. Voglio però dire una cosa. Io sono per dare allo Stato centrale la gestione del diritto allo studio che la Costituzione assegna alle Regioni. Con la nuova riforma costituzionale “le regioni promuovono” ma non hanno più competenza esclusiva. Questo significa che dobbiamo trovare altri soldi per compensare quelle regioni virtuose che verosimilmente smetteranno per questo motivo di finanziare per la propria parte? Non proprio. Con un piano nazionale sul diritto allo studio possiamo rivedere centralmente il meccanismo, anche attuando il dm 68, cioè il decreto sul diritto allo studio, e programmare insieme, per evitare che le regioni virtuose smettano di finanziare comunque il diritto allo studio e per coprire tutte; si tratta di coordinare dunque le risorse attuali, nazionali e regionali, come anche europee, per evitare che chi è idoneo, per reddito e merito, non benefici della borsa di studio. Fatto inaccettabile».
«Il sistema universitario è stato tagliato in proporzione più di ogni sistema della Pubblica amministrazione. Però va messo a posto anche il sistema del finanziamento ordinario. E sarebbe questa una misura, come altre, a costo zero. I soldi, comunque, li mettiamo, vogliamo farlo con la prossima legge di Stabilità, però dobbiamo mettere attenzione a come e cosa finanziamo per evitare che ogni strumento utilizzato sia solo una goccia nel mare».
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In merito al taglio delle tasse universitarie Faraone sostiene che «parliamo chiaramente di una no-tax area commisurata al reddito. Questo sarà il nostro obiettivo, assieme a un riordino più equo e progressivo dell’imposizione. Inoltre stabiliremo nuovi criteri di ripartizione del fondo integrativo in base al fabbisogno, vincolando maggiormente tutte le Regioni per lo stanziamento di risorse per il diritto allo studio di risorse proprie».
«Non funziona l’orientamento né in entrata né in uscita verso il mondo del lavoro. Oggi, a parte le giornate di orientamento organizzate dalle università, a fare orientamento per i ragazzi sono i genitori e i docenti delle superiori. Eppure scuola e università non si parlano, i docenti dei due ordini formativi non si sono mai confrontati su questo tema, fosse anche predisporre modalità di orientamento nuove; ad esempio chi vieta di dare crediti a neolaureati o laureandi, per farlo fare anche a loro? Con la legge 107 abbiamo già fatto qualche passo in tal senso, per orientare i ragazzi nelle scelte future ed evitare che si perdano. Ma non è tutto, chiaramente. L’abbandono è l’altro grande tema. L’offerta universitaria non aiuta, è ancora poco articolata e poco “professionalizzante”, sia per blocchi burocratici e amministrativi, che dobbiamo eliminare, sia però per le resistenze degli atenei. Dovremmo anche potenziare gli Its, (istituti tecnici superiori, ispirati a quelli tedeschi: sono un biennio post-diploma). Sono un’eccellenza ma i numeri sono ancora bassi».
“C’è una domanda di aggiornamento e pluralismo di offerte formative da parte della società, famiglie e mondo produttivo, a cui le università dovrebbero rispondere. Settori professionali completamente scoperti, ma anche competenze trasversali non fornite dal sistema universitario. Bisogna spiegare agli atenei che il rapporto con il mondo del lavoro è essenziale e dobbiamo anche aggiornare metodi e modalità didattiche: non mi pare che ci sia una grande diffusione dell’innovazione digitale nella didattica universitaria o anche un semplice interrogarsi sulla didattica…spero di sbagliarmi».
«Il problema è la qualità delle università: dovremmo evitare di creare doppioni ovunque e dovremmo potenziare e razionalizzare costruendo sinergie tra le regioni e spingere in ogni regione per un coordinamento tra gli atenei in relazione all’offerta formativa e di questi con i singoli territori».
« Bisogna investire nell’orientamento, spiegare meglio quali sono gli sbocchi lavorativi, variare l’offerta, specializzarla. Ma deve esserci anche meno rigidità in alcune facoltà, più aggiornamento, trasversalità e flessibilità. Per farlo dobbiamo dare indicazioni nuove anche attraverso la valutazione degli atenei. Con i nuovi rettori, però, che sono più giovani, qualcosa sta cambiando».
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