Il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone, riferendosi alla recente indagine (l’incrocio dei cognomi per capire il passaggio di eredità tra padri e figli nelle università italiane) sulla parentopoli in Italia e che porterebbe pure danni economici legati alla corruzione, ha detto: “La denuncia di Cantone sulla presenza di certi meccanismi perversi nelle università e sul legame di questi con la cosiddetta ‘fuga dei cervelli’ deve spingerci ad una riflessione profonda piuttosto che provocare una levata di scudi nel mondo accademico: se è vero che esistono norme contro le baronie, se è vero che l’università è valutata ma continuano ad esserci 3.000 giovani con il titolo di dottore di ricerca all’anno che lasciano l’Italia e l’Anac è subissata da segnalazioni di abusi nei concorsi, ecco, se sono veri tutti questi fatti, cosa c’è che non va nei nostri Atenei?”.
“Gli atenei italiani, è un dato di fatto, hanno autonomia – continua Faraone – un’autonomia che viene valutata in termini di qualità della ricerca. Forse in alcuni casi questo non basta. Dobbiamo allora chiederci cosa non funziona nel sistema complessivo. I meccanismi concorsuali universitari sono molto particolari. Da una parte si tratta forse del settore più controllato e trasparente di tutta la Pubblica Amministrazione (tutti i verbali dei concorsi sono pubblicati online, gli indicatori utilizzati sono accessibili a tutti, etc.), ma dall’altra c’è una grande autonomia che è giusto riservare agli Atenei e alle comunità scientifiche, ma all’interno della quale, in alcune occasioni, possono trovare spazio abusi e scelte discutibili, alle quali Cantone fa riferimento”.
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“Gli Atenei – spiega – sono valutati in termini di qualità della ricerca, ma non sempre questo è sufficiente a spingere ai comportamenti più virtuosi. Probabilmente sarebbe necessario passare dalla valutazione ‘aggregata’ degli Atenei a quella dei singoli Dipartimenti e magari delle singole procedure concorsuali. Questi meccanismi sono già presenti nella VQR (valutazione della qualità della ricerca), ma la loro efficacia è fortemente limitata dalle modalità con cui poi sono assegnate le risorse alle università. Su questo stiamo lavorando con attenzione, perché la valutazione non è la ‘Santa Inquisizione’, ma uno strumento per spingere e rendere possibile il miglioramento. Agendo in modo opportuno riusciremo sempre di più ad innalzare non solo il livello della ricerca ma la trasparenza, le relazioni e il modo di stare e fare ricerca e ‘scuola’, non di tipo ‘proprietario’ ma pubblico, aperto, libero. Il nostro sistema deve essere d’eccellenza, non d’elite”.
“Sono sicuro – conclude il Sottosegretario – che il mondo accademico sente l’esigenza di questa riflessione e noi siamo al loro fianco, impegnati a lavorare sulle norme e sui meccanismi di finanziamento, consapevoli che queste cose non sono sufficienti se non accompagnate da un rafforzamento della capacità del mondo universitario di vigilare sui propri percorsi di selezione e auto-valutazione”.
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