Personale

Fare il docente non paga, in Romania sciopero col 70% di adesioni: al prof neo assunto solo 560 euro al mese (in Italia 1.300)

Gli stipendi degli insegnanti sono troppo bassi. L’Italia è tra i Paesi europei dove gli importi risultano tra i più ridotti, a causa sia dell’inflazione crescente, sia dei lunghi periodi intercorsi tra un rinnovo contrattuale e l’altro. I numeri lo confermano: nell’ultimo decennio, gli aumenti sottoscritti con l’Aran hanno prodotto non più del 7,5% di incremento medio mensile, mentre il costo della vita, soprattutto dopo il Covid e la guerra in Ucraina, è avanzato molto più speditamente. Vale per la nostra Penisola, ma anche per altri Paesi. Uno di questi è sicuramente la Romania, dove in questi giorni i sindacati degli insegnanti stanno producendo un partecipato sciopero generale.

La richiesta: stipendi al passo della crescita inflazionistica

Secondo quanto dichiarato dal ministro dell’Educazione rumeno, Sorin Ion, scrive l’agenzia Ansa, la percentuale degli scioperanti si aggira tra il 60% ed il 70%: “una partecipazione importante – ha dichiarato alla stampa locale Ion -, che durerà qualche giorno, ma non causerà un prolungamento dell’anno scolastico”.

Gli insegnanti chiedono “aumenti salariali al passo con una crescita inflazionistica pesante (a marzo era del 14.53%, ad aprile dell’11.5%)”.

Quanto guadagno un docente rumeno

Ma quanto guadagna un docente in Romania? Stando agli ultimi dati ufficiali dello scorso aprile, scrive ancora l’agenzia di stampa nazionale, “lo stipendio di un insegnante nel paese balcanico va dai 45.000 Lei lordi (circa 9.100 euro) annui di inizio carriera ai 77.000 Lei lordi (circa 15.500 euro) annui dopo 40 anni di attività, in un contesto in cui il salario medio lordo in Romania è salito a 6.789 Lei (circa 1.371 euro) mensili, dunque 81.468 Lei lordi (circa 16.460 euro) annui.

Ora, se si suddivide la cifra per tredici mensilità e si sottrae il 20-25% (per tasse e oneri previdenziali), un docente rumeno neo-assunto guadagna appena 560 euro; a fine carriera arriva a prendere neanche 900 euro netti al mese. Quindi, in Romania gli insegnanti prendono meno della metà dei docenti italiani. È ovvio che il paragone deve tenere conto del costo della vita e degli stipendi rumeni, molto più bassi di quelli italiani.

C’è però un dato che accomuna i due Paesi: gli insegnanti della scuola pubblica risultano, in Romania con in Italia, una delle categorie meno pagate di tutto il territorio nazionale.

E in Italia?

Ricordiamo che in Italia i compensi medi annui degli insegnanti si attestano attorno ai 30.000 euro lordi. Mentre nella pubblica amministrazione, sempre nell’arco dei dodici mesi, sono pari a circa 34.000 euro. Rimanendo a queste percentuali, quindi, in Italia un docente guadagna oltre il 10% in meno di un dipendente pubblico medio (un gap, in difetto, non molto diverso da quello registrato tra i docenti della Romania).

Ma c’è un altro dato che riguarda l’Italia davvero disarmante: Eurydice ci ha detto, con i rapporti annuali sugli stipendi dei docenti e capi d’istituto, che in Italia per ottenere il massimo dello stipendio (non oltre il 50% del compenso iniziale) occorrono 35 anni di carriera; in Scozia servono appena 10 anni; in Francia (dove si va in pensione tre anni prima) si raggiunge l’apice dello stipendio di 20 anni di anzianità di servizio.

Rimane evidente, quindi che l’ulteriore taglio del cuneo fiscale previsto dal Governo Meloni per chi prende al massimo 35.000 euro lordi l’anno – per soli sei mesi – con un incremento collocato tra i 50 e i 100 euro lordi, quindi circa 30/40 euro medi al mese, di certo “non potrà risolvere il problema”.

Per chi lavora fuori sedi non bastano

Un sondaggio prodotto dalla Tecnica della Scuola la scorsa settimana ha evidenziato che per i docenti e Ata questi compensi diventano ancora più inadeguati: la spesa media complessiva dei lavoratori fuori, per gli affitti e per le utenze, si attesta per loro infatti attorno ai 1.000 euro al mese.

Considerando che si tratta spesso di precari o neo-assunto, con lo stipendio base di 1.300-1.400 euro netti al mese (per gli Ata di poco sopra ai 1.000 euro) è evidente che la spesa mensile affrontata per affitti e bollette non è sostenibile: sia per chi vive da solo, sia per chi ha una famiglia a carico.

Alessandro Giuliani

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