I lettori ci scrivono

Fare l’insegnante non è un hobby: basta luoghi comuni

“Ciao sono un insegnante” “Bello, e che lavoro fai?”.

L’insegnante non è un lavoro, è un hobby o, nel migliore dei casi, è un’occupazione da tempo libero sicuramente meno impegnativo e dignitoso di altri. Una specie di parcheggiatore di bambini e ragazzi in attesa che comincino a lavorare e a essere utili alla società.

Questa è la concezione che va per la maggiore in Italia dettata dal preconcetto e dall’ignoranza. Meno male che in viale Trastevere non è così. La Ministra più volte ha riconosciuto pubblicamente in queste settimane il lavoro degli insegnanti e anche il premier Conte ha elogiato a reti unificate il senso di responsabilità e gli impegni profusi dal corpo docente in questi due mesi. Questo per quanto riguarda la politica dei proclami, poi c’è la politica scolastica reale i cui ingredienti sono anche abilitazione, contratto e stipendio. Ecco, su questa è in agguato nuovamente il pregiudizio suddetto e quindi i ringraziamenti si trasformano in ostacoli imposti tra l’altro in modo tutt’altro che democratico (vedi il rifiuto di dialogo con sindacati, regioni e forze di maggioranza).

Alcuni docenti insegnano da anni; le loro competenze e conoscenze sono stimate da alunni, dirigenti e genitori; alcuni hanno conseguito anche un dottorato ma non hanno mai avuto nessuna possibilità di abilitarsi (nel migliore dei casi solo una nel lontano 2014) e quindi, per legge, di avere un contratto a tempo indeterminato.

Perché queste persone devono dipendere dal fatto che la scuola statale abbia bisogno di assunzioni per avere una possibilità di abilitarsi? Perché non possono, come in tutti gli altri paesi dell’Europa, avere una procedura definita e stabile per l’abilitazione? Perché in viale Trastevere (e non solo) si continua a far coincidere l’abilitazione con il ruolo nello Stato? Perché gli anni di servizio non possono costituire una condizione per accedere a un percorso abilitante ma solo un lasciapassare per un quizzone?

Questa ingiustizia si eleva al quadrato se ci immergiamo nel mondo delle Scuole Paritarie (ricordiamo pubbliche anch’esse). Lì l’abilitazione, se faticosamente e fortunosamente raggiunta, diventa di serie B con il beneplacito di sindacati e dirigenti scolastici e, quindi, i docenti “privati” diventano figli della serva.

È inevitabile pertanto che la percezione degli insegnanti ora sia questa: il Premier e la Ministra elogiano e ringraziano pubblicamente i docenti poi si girano verso di loro e chiedono: “Ma che lavoro fate?”

Luca Parieto

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