«Fare scuola a casa? Perché no?», direbbero molti nostri concittadini, se venisse loro chiesto un parere circa la possibilità di ritirare i propri figli da scuola e provvedere autonomamente alla loro istruzione. La sfiducia in tutto ciò che è collettivo e organizzato dalle istituzioni dilaga, e sta diventando una moda. I luoghi comuni sulla presunta “incapacità” e “impreparazione” dei docenti sono ben noti ai nostri lettori (che non intendiamo tediare ulteriormente con queste dolorose constatazioni sulla facilità con cui l’opinione pubblica sputa sentenze sull’argomento).
La moda parte — come sempre da almeno 70 anni — dai Paesi anglosassoni. Nel Regno Unito e negli USA, in particolare, è particolarmente diffusa. Ne parla approfonditamente un articolo della rivista online Aeon, che si occupa di cultura, filosofia e idee, con uffici a Londra, Melbourne e New York. L’articolo (redatto da alla ex maestra Heidi Steel e dalla psicologa Naomi Fisher) arriva a sostenere che, per i ragazzi più “particolari”, l’apprendimento casalingo ottiene risultati migliori di quello scolastico. Alcuni bambini e ragazzi sembrano proprio non sopportare l’imposizione di orari e regole: ignorare la loro insofferenza (che in certi casi è ansia e panico) non pare far sparire i sintomi.
Non si tratta solo di bambini “neurodiversi”, ossia affetti da autismo, dislessia, discalculia, disprassia, ADHD (Attention Deficit Hyperactivity disorder, ovvero “Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività”). Spesso sono i genitori a non nutrire fiducia nell’istituzione scolastica, e a decidere di provvedere autonomamente alla loro istruzione, specialmente quando i bambini sono letteralmente terrorizzati dalla scuola. È d’altronde anche vero che ansia e angoscia sono sintomi di disagio, non indizi di scarsa volontà. Perciò non sempre è proficuo forzare i bambini a vincere l’angoscia ignorandola. Anche se, certamente, l’ansia può peggiorare se assecondata e non affrontata direttamente.
L’approccio al problema, insomma, deve essere di tipo psicologico, non coattivo. Le scuole anglosassoni, tuttavia, contrariamente a quanto spesso si crede, sono meno inclusive delle nostre. Le leggi italiane su disabilità e inclusione, infatti, sono all’avanguardia, anche se sabotate dalla cronica scarsità dei finanziamenti. Ai genitori dei bambini anglosassoni renitenti alla scuola — secondo Aeon — viene raccomandato di premiare i figli per le presenze a scuola e punirli per le assenze: quasi si trattasse esclusivamente di un problema di educazione familiare. Viene detto loro che, se permettessero ai figli di evitare la scuola, la situazione peggiorerebbe: convinzione basata sulla terapia cognitivo-comportamentale per l’ansia.
Vero è che, se ho paura di volare e non volo, non volerò più: se invece scopro che prendere l’aereo è addirittura piacevole e più sicuro che attraversare la strada a piedi, supererò la paura. È però anche vero che un bambino non può superare facilmente l’angoscia provata in un luogo, se quel luogo lo rende infelice.
La tendenza all’home-schooling nei Paesi anglosassoni ha fatto un balzo in avanti durante il lockdown del 2020 e 2021. In quel periodo molti genitori di bambini angosciati dalla scuola hanno notato che i loro figli imparavano meglio da casa che non da scuola. La “educazione domestica elettiva” (“elective home education”, perifrasi che in Inghilterra è preferita a home-schooling), è un diritto riconosciuto a tutti i genitori inglesi: basta scrivere una lettera di cancellazione al preside. I genitori sono autorizzati a decidere come fornire l’istruzione, e non sono assolutamente obbligati né a seguire lo stesso curricolo della scuola né a testare la preparazione dei propri figli. Le autorità non valutano i progressi dei bambini. Sarà poi il mercato del lavoro a trarre le conclusioni.
In Svezia e Germania, al contrario, l’istruzione domestica è semplicemente illegale.
E in Italia? Come già rilevato dalla nostra testata, da noi migliaia di famiglie hanno ritirato i figli dalla scuola per istruirli casa, soprattutto in seguito alla pandemia. Nell’anno scolastico 2020/21 il numero di “homeschooler” registrati ha toccato i 15.000. I limiti legali sono ben definiti: il D.Lgs. 13 aprile 2017, numero 62, all’articolo 23, ha regolato l’”istruzione parentale”, rendendo obbligatorio un esame di fine anno per ottenere l’idoneità alla classe successiva.
È giusto che la collettività controlli il livello di istruzione raggiunto dagli studenti anno per anno? Certamente sì. L’istruzione è un diritto fondamentale del minore (e per questo il titolo di studio ha un valore legale) di cui sempre meno persone sono consapevoli in questo momento storico nel nostro Paese, e non tutti i genitori hanno contezza delle difficoltà e dei rischi connessi con l’allontanamento di un minore dalla comunità scolastica. Rischi anche psicologici, legati alla confusione del ruolo di genitore con quello di insegnante, ed alla conseguente interferenza reciproca tra emotività ed apprendimento.
A ben riflettere, la tendenza a fuggire dalla Scuola, a non fidarsene, a non aver fiducia nelle istituzioni, è un altro saporoso frutto del neoliberismo, difficile da contrastare dopo 40 anni di edonismo consumistico e relativizzazione di tutti i valori fondanti delle nostre democrazie. Compito della Scuola, comunque, è non lasciarsi condizionare dalle mode, tenendo sempre ben presente la propria natura di organo fondamentale della democrazia e di ascensore sociale.
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