Al professor Paolo Fasce, direttore della rivista Educazione Aperta, e blogger del Secolo XIX abbiamo posto qualche domanda sui problemi della valutazione a scuola.
Domanda
Poche ore fa hai lanciato su FB una provocazione curiosa
Hai scritto: “Perché non studiamo con attenzione i casi di quelle classi in cui la maggior parte degli studenti ha 9 e 10? Magari si potrebbe esportare altrove il metodo di insegnamento”.
Sembra l´uovo di Colombo, perché nessuno ci ha mai pensato prima?
Paolo Fasce
Penso per due ordini di motivi. Il primo è il limitatissimo numero di ispettori nel nostro paese che, al netto del nome lugubre, in altri paesi svolgono un ruolo pedagogico attivo e fertile. Il secondo è legato ad una mai avvenuta saldatura tra il mondo della ricerca universitaria nella didattica, tutta spostata sulla scuola primaria e dell’infanzia, e completamente staccata dalla secondaria.
Non esistono ambiti strutturali di ricerca che vedano assieme la scuola secondaria e altri ambienti. Le SSIS e i TFA, che hanno istituito la figura di “supervisore di tirocinio” sono esperienze da guardare con attenzione, ma occorre anche rilevare il fatto che in quel contesto la scuola era suddita.
Sono supervisore di tirocinio in un Master sulla didattica per l’autismo e nel corso di
specializzazione sul sostegno, ma sono stato selezionato dall’Università, non dalla scuola. A me conviene, visto che lo sono, ma non lo trovo corretto.
Poi ci sono anche gli infiniti limiti del mondo della scuola, quelli che etichettano un supervisore di tirocinio con distacco parziale, come un imboscato. Sono piccole invidie che avvelenano la maturazione serena di un dibattito a scuola che osservi la realtà
per quella che è e si provi ad incidere con gli strumenti a disposizione.
Sì, parlo del “Piano di Miglioramento”, ma so già che, citandolo, passerò per renziano.
Domanda
Possiamo dire la stessa cosa per i voti di maturità ?
Per esempio: possiamo esportare in altre aree del territorio nazionale i metodi di insegnamento che consentono agli studenti delle regioni del sud di ottenere risultati migliori agli esami ?
Paolo Fasce
Naturalmente se dietro quei voti ci fossero valutazioni attendibili, questo sarebbe doveroso, oltre che necessario. Peccato che in questo Paese abbiamo l’abitudine di nascondere la polvere sotto il tappeto.
Non è un caso che ci si opponga con tanta veemenza alle prove INVALSI, che registrano queste contraddizioni, mentre non è sufficientemente noto il fatto che nel punteggio assegnato per l’attribuzione dei fondi sui PON recentemente banditi, viene proprio
valorizzato un basso punteggio nelle prove INVALSI, segno che si immagina di riversare fondi dove ci sono maggiori difficoltà. Si tratta quindi di politiche che hanno come faro il tema dell’equità. A me sembra molto di sinistra, ma non mi pare che quest’idea sia
diffusa.
Domanda
Parlando della questione in termini più generali l´impressione è che la ricerca valutativa in Italia sia pressochè inesistente. Per quale motivo, secondo te?
Paolo Fasce
Naturalmente fare ricerca, costa. Io ne ho fatta da precario, spinto da necessità di punteggio, ho conseguito tre master e un dottorato, ma dopo questo sforzo, sono anche scoppiato. Per fare queste cose occorre un’organizzazione, una struttura e, naturalmente, dei soldi.
Nulla di esagerato, ma se un supervisore/ricercatore deve fare anche questo lavoro, deve avere un distacco parziale dall’insegnamento.
Dico parziale perché ritengo che andare a scuola tutti i giorni sia parimenti necessario. Non si possono promuovere teorie fantiasiose e onerose se non si è in grado di metterle in pratica in prima persona.
> 1. Poche ore fa hai lanciato su FB una provocazione curiosa
> Dici: “Perché non studiamo con attenzione i casi di quelle classi
> in cui la maggior parte degli studenti ha 9 e 10? Magari
> si potrebbe esportare altrove il metodo di insegnamento”
> Sembra l´uovo di Colombo, perché nessuno ci ha mai pensato prima?
Penso per due ordini di motivi. Il primo è il limitatissimo numero
di ispettori nel nostro paese che, al netto del nome lugubre, in
altri paesi svolgono un ruolo pedagogico attivo e fertile. Il
secondo è legato ad una mai avvenuta saldatura tra il mondo della
ricerca universitaria nella didattica, tutta spostata sulla scuola
primaria e dell’infanzia, e completamente staccata dalla secondaria.
Non esistono ambiti strutturali di ricerca che vedano assieme la
scuola secondaria e altri ambienti. Le SSIS e i TFA, che hanno
istituito la figura di “supervisore di tirocinio” sono esperienze da
guardare con attenzione, ma occorre anche rilevare il fatto che in
quel contesto la scuola era suddita. Sono supervisore di tirocinio
in un Master sulla didattica per l’autismo e nel corso di
specializzazione sul sostegno, ma sono stato selezionato
dall’Università, non dalla scuola. A me conviene, visto che lo sono,
ma non lo trovo corretto.
Poi ci sono anche gli infiniti limiti del mondo della scuola, quelli
che etichettano un supervisore di tirocinio con distacco parziale,
come un imboscato. Sono piccole invidie che avvelenano la
maturazione serena di un dibattito a scuola che osservi la realtà
per quella che è e si provi ad incidere con gli strumenti a
disposizione. Sì, parlo del “Piano di Miglioramento”, ma so già che,
citandolo, passerò per renziano.
> 2. Possiamo dire la stessa cosa per i voti di maturità ?
> Per esempio: possiamo esportare in altre aree del territorio
> nazionale i metodi di insegnamento che consentono agli studenti
> delle regioni del sud di ottenere risultati migliori agli esami ?
Naturalmente se dietro quei voti ci fossero valutazioni attendibili,
questo sarebbe doveroso, oltre che necessario. Peccato che in questo
paese abbiamo l’abitudine di nascondere la polvere sotto il tappeto.
Non è un caso che ci si opponga con tanta veemenza alle prove
INVALSI, che registrano queste contraddizioni, mentre non è
sufficientemente noto il fatto che nel punteggio assegnato per
l’attribuzione dei fondi sui PON recentemente banditi, viene proprio
valorizzato un basso punteggio nelle prove INVALSI, segno che si
immagina di riversare fondi dove ci sono maggiori difficoltà. Si
tratta quindi di politiche che hanno come faro il tema dell’equità.
A me sembra molto di sinistra, ma non mi pare che quest’idea sia
diffusa.
> 3. Parlando della questione in termini più generali
> l´impressione è che la ricerca valutativa in Italia è
> pressochè inesistente
> Per quale motivo, secondo te?
Naturalmente fare ricerca, costa. Io ne ho fatta da precario, spinto
da necessità di punteggio, ho conseguito tre master e un dottorato,
ma dopo questo sforzo, sono anche scoppiato. Per fare queste cose
occorre un’organizzazione, una struttura e, naturalmente, dei soldi.
Nulla di esagerato, ma se un supervisore/ricercatore deve fare anche
questo lavoro, deve avere un distacco parziale dall’insegnamento.
Dico parziale perché ritengo che andare a scuola tutti i giorni sia
parimenti necessario. Non si possono promuovere teorie fantiasiose e
onerose se non si è in grado di metterle in pratica in prima
persona.
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