
Da decenni i docenti italiani sono sotto pressione. Impoverimento culturale del Paese, stipendi sempre meno adeguati ai prezzi, peggioramento della considerazione sociale, aumento dei carichi di lavoro (in massima parte burocratici), alunni ineducati, pensione ritardata, genitori aggressivi, autoritarismi dirigenziali rendono i docenti insoddisfatti, incerti per il futuro, indifesi e stanchi.
Il tutto è però aggravato da un’apatia generalizzata, che caratterizza il docente medio, insieme a una rassegnazione che somiglia talora a forme croniche e ingravescenti di depressione. Solitamente, chi chieda ad un/una docente di impegnarsi in proteste sindacali o scioperi, si sente rispondere con una delle seguenti formule fisse: «Non mi interessa»; «Non serve a niente»; «I sindacati sono tutti uguali e non ci difendono»; «Io non ci capisco nulla»; «Non me ne intendo»; «Sciopero solo se scioperano tutti»; e consimili amenità.
Categoria docente: quella che sciopera meno
I docenti son la categoria che sciopera meno, con percentuali che raramente superano l’1,3%. Tanto che, quando anche solo il 10% dei docenti sciopera, chi governa ne deduce che tutta la categoria è in subbuglio. Lo sciopero del 17 febbraio 2000 (indetto da Unicobas, Cobas e Gilda), fece dimettere il ministro Giovanni Berlinguer con un’adesione del 35%. Gli scioperi non servono a nulla? Falso!
Del resto, qual è la categoria di laureati più sottopagata in Italia? Quella dei docenti. Ossia, appunto, quella che sciopera meno. Fenomeno che consente al ministro Valditara di considerare i docenti “dalla sua parte”.
Quelli che «Bisogna trovare altre forme di protesta»
«Lo sciopero però è superato. Bisogna trovare altre forme di lotta», è solito comunque mormorare dogmaticamente il docente medio di cui sopra. Quali siano poi queste “altre forme” non è dato sapere. È noto anzi che l’insegnante medio non protesta nemmeno con la più economica delle proteste: l’astensione dalle attività aggiuntive, che priverebbe la scuola-azienda delle fondamenta su cui si regge: il volontariato dei docenti.
“Contrattazione d’istituto” o conteggio della miseria?
Non ci si dica, infatti, che il lavoro aggiuntivo è retribuito. Ben lo sanno le RSU, che si trovano a “contrattare” la spartizione delle sempre più misere miserie che ogni anno lo Stato riserva alle scuole per ciò che il CCNL (firmato dai sindacati “maggiormente” rappresentativi) pomposamente denomina “Fondo per il Miglioramento dell’offerta formativa” (FMOF). Risultato di questa “contrattazione” (meglio sarebbe chiamarla “conteggio”) è il pagamento forfettario del lavoro extra che i docenti svolgono a vantaggio dell’“offerta formativa” degli istituti scolastici. Una mancia di pochi euro l’ora, umiliante per l’entità del lavoro profuso, per il titolo di studio necessario, per le ore effettive di impegno; in palese violazione delle Tabelle retributive allegate al CCNL per la retribuzione di attività aggiuntive e ore eccedenti.
Malgrado queste ovvie e risapute considerazioni, i docenti praticano in massa le attività aggiuntive. Mugugnando. C’è forse una qualche segreta voluttà in questo farsi male da soli? Con una categoria così ben disposta all’autolesionismo, non è forse normale che qualsiasi governo, di qualsivoglia colore, risparmi sul trattamento economico dei docenti?
Nascondersi o prendere posizione?
Altra lamentela comune: «I Sindacati non ci difendono e sono tutti d’accordo con la controparte governativa. Quindi io non voglio saperne nulla». Possibile che un laureato non sappia fare distinguo di sorta, accomunando tutti i sindacati in una comune notte in cui tutte le mucche sono nere? Possibile misconoscere la storia degli ultimi 70 anni del proprio Paese in questo modo? No, non è possibile né spiegabile, se non con la politica dello struzzo: metter la testa sotto la sabbia per non vedere la realtà, evitando scelte che implichino una presa di posizione.
Prender posizione significa accettare la propria limitatezza e il rischio di errare, scegliendo però di impegnarsi in prima persona: che è poi la forma mentis dei popoli che hanno saputo cambiare la Storia. Chi, come gli insegnanti, ha tanto studiato, lo sa. Deve saperlo. O, almeno, dovrebbe.
A chi vanno voti e tessere sindacali?
Sta di fatto che il sindacato col maggior numero di insegnanti iscritti e/o votanti è CISL Scuola: non proprio quello più antitetico alle politiche di tutti i governi. Al secondo posto FLC-CGIL, anch’essa firmataria di tutti i contratti dell’ultimo trentennio. Terza: UIL Scuola. Quarta: SNALS. Quinta: Gilda degli Insegnanti. Sesta: ANIEF. Tutti i firmatari dei CCNL raccolgono il maggior numero di voti e/o tessere dei (pochi) insegnanti sindacalizzati. I non sindacalizzati non contano, perché la loro opinione (ammesso che esista) per legge non ha rappresentanza.
Se tale è la realtà, i docenti di che si lamentano? La maggioranza di quelli sindacalizzati vota per i sindacati corresponsabili della loro situazione, e non per quelli alternativi (che sono molti ed esistono da almeno 35 anni). Oppure non votano. Ha senso tutto ciò?
«Sì, quel sindacato di base mi piace. Però non conta nulla, per cui voto per quelli più grandi». Non sono infrequenti frasi analoghe nel mondo della Scuola. Non ricordano un po’ le scelte di don Abbondio? Anche il personaggio manzoniano, infatti, «Se si trovava assolutamente costretto a prender parte tra due contendenti, stava col più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere all’altro ch’egli non gli era volontariamente nemico: pareva che gli dicesse: ma perché non avete saputo esser voi il più forte? ch’io mi sarei messo dalla vostra parte?». Cosa potrà mai cambiare con una mentalità simile?
Ritrovare coraggio e coerenza
«Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? / Pigghia nu bastoni e tira fora li denti!»: così cantava Domenico Modugno nella sua canzone Malarazza (Lamento di un servo a un Santo crocifisso), da lui scritta nel 1976 rielaborando un sonetto popolare siciliano. Per cambiare la realtà, tuttavia, non serve violenza. Basterebbe un pizzico di logica in più. E, soprattutto, un piccolo sforzo di coerenza.