“Vigliacchi, mi fate schifo. Dovete morire. Senza manganelli, quando volete, fascisti”: queste alcune delle accuse lanciate dalla prof. nei confronti dei poliziotti durante le manifestazioni contro CasaPound.
Ebbene, il Ministero dell’Istruzione, attraverso l’Ufficio scolastico regionale del Piemonte, ha avviato un procedimento disciplinare nei confronti della docente.
Inoltre, in una nota, la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, sottolinea che “è inaccettabile ascoltare dalla voce di una docente parole di odio e di violenza contro le Forze dell’Ordine. Il rispetto per chi serve lo Stato, per chi, come quella sera a Torino, stava compiendo il proprio dovere per garantire la sicurezza dei cittadini, è sempre dovuto. Sempre e da chiunque. E a maggior ragione da una insegnante, il cui ruolo è non solo quello di trasmettere nuovi saperi e nuove competenze, ma anche quello di educare le nuove generazioni ai valori della legalità, del rispetto reciproco, della convivenza democratica”.
“È quindi doppiamente inaccettabile – prosegue Fedeli – che una insegnante inveisca con parole di odio proprio contro quelle Forze dell’Ordine che sono una parte fondamentale della nostra istituzione democratica, che quotidianamente svolgono una funzione fondamentale nel Paese a presidio democratico della vita di tutti noi. Per questo motivo il Miur, appena avuta segnalazione di quanto avvenuto, è intervenuto attraverso l’Ufficio scolastico regionale del Piemonte, che dopo aver svolto i necessari approfondimenti, mi ha informato che in data odierna è stato avviato un procedimento disciplinare”.
“Cara professoressa, ti parla la figlia di un appartenente alle forze dell’ordine“.
“Tu che gli urli ‘dovete morire’ – si legge nel post pubblicato dalle agenzie-, vedi ogni volta che mio padre si allaccia gli anfibi e si chiude il cinturone ho davvero paura che qualcuno lo faccia morire. Forse tu non sai cosa vuol dire. Tu non sai cosa vuol dire vivere di turni, vivere di imprevisti, di compleanni in cui nelle foto ci sono tutti: tranne lui. Del pranzo di Natale che diventava freddo a forza di aspettarlo. Del cuscino vuoto accanto a mia madre. Del freddo, del sonno, del sangue sulla strada, degli insulti che gente come te ogni giorno rivolge a chi indossa una divisa”.
“Cara professoressa – scrive ancora -, hai mai provato ad accarezzare la stoffa della giacca di un poliziotto o di un carabiniere? Sai non è di un cotone morbido, non è il lusso che tutti credono che lo Stato regali a quegli uomini e a quelle donne in divisa. Cara professoressa, tu sai che mentre auguravi a quei ragazzi la morte a casa c’erano i loro bambini che si erano appena addormentati che si aspettavano di vedere i loro papà il giorno dopocome tutti i giorni? Lo sai che c’erano madri, fidanzate e mogli che in quel preciso momento stavano pensando a loro? E stavano pensando se magari potevano avere troppo freddo là fuori?”.
“Non sono dei mostri come li dipingete. Ma sono persone. Le stesse persone – sottolinea ancora la lettera – che chiamate a tutte le ore se avete bisogno di aiuto, e loro anche se voi gli augurate le morte vengono ad aiutarvi: perché hanno giurato di esserci, e quella divisa che tanto odiate rappresenta anche questo”.
Una rabbia e un augurio di morte, spiega ancora la lettera, che non trova giustificazioni nonostante l’operato di alcune ‘mele marce’ fra le forze dell’ordine: “C’è chi della propria divisa ne fa un abuso – si legge -, come ovunque c’è la mela marcia e sono concorde nel punirlo adeguatamente secondo le leggi, ma non per questo bisogna augurare il male a tutti coloro che indossano una divisa. Perché io nonostante tutto non auguro del male a nessuno e mai lo farò, perché mi hanno insegnato il rispetto per la vita di tutti. Così, cara prof, ora vai e guarda negli occhi tuo padre e tuo marito/compagno/ fidanzato che sia (se ne hai uno), guardali negli occhi e cerca solo di immaginare cosa si possa provare: a sapere che tanta gente come te augura la morte a quegli uomini che per noi – conclude il post – sono la vita”.
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