Personale

Fedeli: Gruppo di lavoro per la definizione del “costo standard”. Ma cos’è?

La ministra dell’istruzione Valeria Fedeli, nel corso del convegno “Esserci per educare… le nuove generazioni”, svoltosi all’interno del Festival della Dottrina Sociale della Chiesa di Verona, che ha visto la partecipazione anche del Cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha annunciato la nascita del Gruppo di lavoro per la definizione del costo standard di sostenibilità per gli studenti.

“Credo sia giunto il momento dopo 17 anni – ha esordito la ministra Fedeli – di cominciare a fare sul serio sul pluralismo educativo e sull’offerta formativa per il diritto allo studio, anche per le scuole paritarie cattoliche. Ci tengo ad annunciare di aver firmato la costituzione del Gruppo di lavoro per la definizione del costo standard di sostenibilità per gli studenti, uno dei punti che io ritengo fondamentali per iniziare a far un percorso insieme”.

Un percorso che dovrebbe portare alla completa attuazione della legge 62 del 2000, sulle “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”.

Ma cos’è il costo standard?

Immaginando ad esempio che in ogni classe ci siano 25 studenti, nella scuola materna ogni alunno costerebbe 4.570 euro (se in quella stessa classe ci fosse un alunno disabile, la cifra salirebbe a 5.360 euro). Applicando questi costi standard, ogni alunno di ogni scuola pubblica, statale e paritaria, costerebbe 5.441 euro, per un costo statale di 47,1 miliardi di euro (cioè ben 2,8 miliardi in meno di oggi).

Risparmio?

La possibilità del risparmio di due milioni di euro con l’approvazione del costo standard di sostenibilità per allievo, ha come rovescio della medaglia il maggiore aggravio che lo Stato dovrebbe sostenere qualora dovesse accogliere nelle scuole statali con molte strutture carenti e inadeguate, il milione di studenti delle suole paritarie.

Tre obiezioni dalla Fondazione Agnelli

A tale proposito, uno studio della Fondazione Agnelli, ha espresso tre obiezioni metodologiche:

primo, calcolare il costo standard è un esercizio estremamente complesso: la letteratura economica suggerisce una varietà di metodi, pochi dei quali hanno finora dato risultati solidi, stimando le determinanti del costo standard a livello di singola scuola, ma gli esiti non sono stati soddisfacenti;

secondo, la nozione stessa di costo standard perde significato se non è abbinata a un certo livello di prestazione, ritenuto essenziale, da parte delle scuole: questo comporta che si definisca e si misuri un obiettivo di performance delle scuole, a fronte del quale va calcolato il costo minimo per conseguirlo. Ma quale sia questo obiettivo – un livello di apprendimento, un tasso di dispersione, un grado di socializzazione, un stadio sviluppo della personalità – non è affatto ovvio e pone interrogativi non banali sullo scopo stesso della scuola;

terzo, il concetto di costo standard non riflette un costo medio per allievo pari a circa 7.000 euro come sostenuto, ma un costo marginale o incrementale di lungo periodo. La domanda da porre è: quanto costerebbe allo Stato inserire un allievo in più nelle proprie strutture? Infatti, non avrebbe senso rimborsare alle scuole paritarie le componenti di costi fissi di sistema che lo Stato già sostiene: l’attività delle amministrazioni centrali e regionali (circa 200 milioni), il mantenimento del sistema informatico (600), la partecipazione alle indagini internazionali (125) e così via.

A parte la scuola dell’infanzia, il costo dell’inserimento nella scuola di un 5% circa di allievi in più che frequentano le paritarie (dal 6,9% delle primarie al 4% delle medie) sarebbe nettamente inferiore alla richiesta formulata dalle scuole paritarie.

Pasquale Almirante

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