Il direttore dell’Unità, Sergio Staino, in una lettera-editoriale, si rivolge al ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli. Sempre sullo stesso quotidiano c’è anche la risposta della titolare del dicastero di Viale Trastevere.
Ecco il testo integrale della lettera di Staino con la risposta del ministro.
Cara Valeria Fedeli, tu sai, e comunque te lo ripeto qui, che ho per te una forte stima e una altrettanto forte amicizia. Stima e amicizia sono cresciute lungo la tua attività di sindacalista tessile e le circostanze, a volte drammatiche, che ti avevano portata nella Toscana di Prato e di Firenze, e poi la tua attività parlamentare, eletta in Toscana.
Ho imparato dalla limpidezza risoluta con cui hai ricostruito, da vicepresidente del Senato, la storia del faticoso riconoscimento dei diritti delle donne e ti sei impegnata a farlo avanzare, oltre che nelle istituzioni, nella vita quotidiana del lavoro e delle famiglie e soprattutto dell’educazione. Questo fervido impegno basta a spiegare la speciale malevolenza che la tua nomina nel governo ha eccitato in alcuni esponenti della vanità integralista.
Dunque ho accolto, non dirò con scandalo, ma con desolazione la sciocchezza del tuo curriculum. Io, con le mie vignette e le mie conversazioni a tavola, non faccio altro che raccontare la mia vita, però non mi è mai capitato di compilare un curriculum. Se l’avessi fatto non so se mi sarei ricordato di citare la mia laurea in architettura, episodio del tutto marginale delle mie carriere.
Adesso, non so per quanto, sono diventato direttore della gloriosa testata di cui ero antico vignettista, dunque tutto può succedere. Magari avrei potuto diventare ministro dell’istruzione pubblica, come Benedetto Croce, che fu il più influente intellettuale italiano e fu ministro della pubblica istruzione senza aver mai preso la laurea, almeno così mi ha detto gente assai ben informata.
La debolezza che ti ha indotto a ritoccare titoli di studio fa molta tenerezza, tanto è assurda e senza proporzione con le tue capacità e i tuoi meriti. Per me, ad esempio, sei stata la più bella delle nuove aggiunte fatte al Governo ed ero veramente incuriosito e felice di vedere come una con la tua storia e il tuo solidale entusiasmo, se la sarebbe cavata in un ministero così complicato e zeppo di tensioni di ogni tipo.
Penso che i miei nipotini si sarebbero trovati molto bene in una scuola italiana al cui vertice ci fossi stata tu. Sono sicuro che avrebbero acquisito conoscenze utili e, soprattutto, valori etici oggi così tragicamente sbiaditi. Forse la logica della politica richiederà le tue dimissioni perché questa piccola bugia sarà utilizzata a lungo per attaccarti, umanamente e politicamente, ed io non so proprio cosa consigliarti di fare.
Lasciare, forse, sarebbe la cosa più facile. Oppure meglio trovare le parole giuste e vere per scusartene e guadagnarti un tuo condizionale voto di fiducia. Io voterei sì.
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LA RISPOSTA DI VALERIA FEDELI
Ho commesso un errore. Mi scuso, con tutte e tutti, soprattutto con coloro che fanno parte del mondo della scuola dell’università e della ricerca.
Caro Sergio, ho trovato molto intenso ed emozionante quello che hai scritto nel tuo editoriale in forma di lettera. Ti ringrazio per le parole affettuose che hai voluto dedicarmi, ricordando il senso dell’impegno politico e sindacale che ha caratterizzato la mia vita.
Non ci lega un’amicizia di lunga data, e non abbiamo un’abitudine a frequentarci, ma le volte che ci siamo incontrati e parlati ho avvertito sempre quella familiarità che unisce quelli della nostra generazione che hanno vissuto le passioni ideali, i valori dell’uguaglianza, le battaglie concrete per aiutare lavoratrici e lavoratori, donne e uomini che ciascuno di noi (io nel lavoro sindacale e tu disegnando le tue meravigliose storie, e tutti e due nell’impegno politico e civile) ha sempre cercato di rappresentare. Per la prima volta, oggi, mi trovo a ricoprire – anche io come te – un incarico nuovo e nuove responsabilità, che vivo però in perfetta continuità con l’esperienza della mia vita, con l’attenzione alla vita reale delle persone, ai bisogni e alle speranze, l’ascolto e il dialogo, la determinazione per trovare i punti che uniscono. Ho iniziato ora il mio lavoro da ministra e l’ho fatto impegnandomi subito. Ma queste prime giornate sono state – nel dibattito pubblico o meglio nel confuso chiacchiericcio che rischia di prendere lo spazio di un vero dibattito e che nasconde, mi pare, un attacco politico e culturale ben chiaro – anche dalle polemiche. Voglio fare chiarezza: c’è stata – evidentemente – una leggerezza, da parte mia, un errore nella cura e nella gestione del racconto di un passaggio della mia vita, quello del titolo di studio.
Ho fatto le scuole per diventare una maestra d’asilo, lavoro bellissimo che ho fatto da giovanissima per qualche anno. Poi ho frequentato, diplomandomi, la scuola che all’epoca formava gli assistenti sociali. Oggi questi percorsi di studio sono completamente cambiati e d’altra parte – per me come per te – la vita ha preso un’altra strada: la passione politica e l’impegno nel sindacato sono state le mie scelte di vita. So che molti tra le lettrici e i lettori dell’Unità hanno compiuto le stesse scelte nel tempo e molti di loro sono stati i miei compagni nella storia, difficile, bellissima e quotidiana, di questo Paese.
Di questa leggerezza, di questo errore, mi scuso, con tutte e tutti, soprattutto con coloro che fanno parte del mondo della scuola dell’università e della ricerca.
Non sono ministra per insegnare loro qualcosa, né per convincerli delle mie idee, ma per ascoltarli, dialogare, fare sintesi. Il mio compito è migliorare e manutenere quello che già esiste, ma la sfida sarà quella di lavorare non solo sulle emergenze: dobbiamo tracciare una rotta per politiche sul sapere che sappiano guidarci verso uno sviluppo più inclusivo e sostenibile, per creare una società più giusta e dinamica. La valorizzazione dei talenti non deve essere alternativa al sostegno di chi resta indietro, dobbiamo dare non solo a tutte e tutti le stesse possibilità, ma fare in modo che attraverso l’impegno si possa trovare nel sapere un riscatto, una leva per cambiare e migliorare la propria condizione.
Questa è la lezione della nostra Costituzione. La conoscenza è determinante per una società più dinamica e in grado di competere meglio sugli scenari europei e internazionali, ed è centrale anche per ricucire le troppe fratture tra aree diverse del nostro Paese. Hai ragione, la strada più semplice davanti all’asprezza delle polemiche sarebbe stata quella di fuggirle. Noi, invece, non scegliamo le cose semplici.
Ho commesso un errore. Accetto però oggi la sfida e l’impegno che mi vengono richiesti, chiedo solo di essere giudicata per il lavoro che farò nei prossimi mesi.
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