Federalismo, al convegno Gilda la Lega annuncia un nuovo ddl sul reclutamento
Ha riscosso un notevole seguito, nella giornata mondiale dell’insegnante, il convegno nazionale “La scuola italiana dal centralismo alla regionalizzazione: parabola o nuovo impulso?”, promosso a Roma dalla Gilda degli Insegnanti. I diversi relatori, tutti di primo piano, e gli insegnanti presenti tra il pubblico hanno dato vita ad un vivace scambio di idee e di diverse prospettive sugli effetti che la riforma federalista potrebbe imprimere nel mondo della scuola. Ha avuto il suo bel da fare la nostra direttrice, Daniela Girgenti, a moderare la seconda parte del convegno, quando sono entrati in scena i senatori responsabili della scuola appartenenti ai più grandi raggruppamenti politici di oggi: in particolare Franco Asciutti, capogruppo Pdl in commissione Istruzione del Senato, e Antonio Rusconi, capogruppo Pd in commissione Istruzione del Senato.
Il momento più importante dell’iniziativa si è toccato quando il senatore Mario Pittoni, capogruppo Lega Nord in Commissione Istruzione, ha detto di aver presentato al ministro Gelmini, alcuni giorni fa, un nuovo progetto di legge sulla formazione iniziale ed il successivo reclutamento dei docenti: il nuovo teste prevede di collocare i futuri insegnanti all’interno di albi regionali, dopo un test d’accesso per valutare il merito, ma senza più barriere per gli aspiranti docenti che provengono da fuori regione.
“A differenza di quello originario – ha detto Pittoni suscitando commenti negativi tra diversi docenti presenti – questo progetto di legge non parla di residenza degli insegnanti, ma di domicilio professionale, come è scritto anche nelle normative europee. Questo progetto lascia a chiunque, cittadini italiani e comunitari, la possibilità di partecipare ai concorsi regionali: prevede l’accesso nella sezione `A’ dei 229.000 iscritti nelle graduatorie a esaurimento che possono concorrere per il 50% dei posti disponibili. L’altro 50%, inserito nella sezione ‘B’, è riservato ai nuovi abilitati i cui punteggi vengono calcolati il 20% sulla base dei titoli e per l’80% attraverso un test, che deve essere messo a punto dall’Invalsi“.
Sempre secondo il rinnovato progetto di legge leghista, il test di accesso per acquisire l’abilitazione sarà `mirato’ a verificare l’attitudine all’insegnamento e la conoscenza della materia di insegnamento. A ciò si aggiungerà il punteggio del concorso. In questo modello formativo sono inclusi anche i 208.000 non abilitati che hanno maturato almeno 360 giorni di supplenze, “cui verrà data una chance attraverso un esame specifico di accesso. La differenza fondamentale – ha sottolineato Pittoni – è che, mentre adesso un candidato all’insegnamento in Sicilia va al Nord con una valutazione molto alta e sbaraglia i colleghi settentrionali, con questo progetto bisognerà conquistare spazio nella regione di arrivo a parità di condizioni con i candidati del posto, sottoponendosi a un test di valutazione. Con questo sistema attiviamo il cosiddetto federalismo delle valutazioni“. D’accordo con il federalismo si è detto Nicola D’Amico, commentatore di politica scolastica, secondo cui con un modello di questo genere “si può recuperare gran parte dell’identità regionale: dobbiamo quindi abbandonare i preconcetti e studiare cos’è avvenuto nelle Regioni a statuto speciale”.
Contrario si è detto, invece, Marco Lodoli, insegnante di italiano e collaboratore del quotidiano “La Repubblica”, per il quale nella “meritocrazia c’è qualcosa che non torna e la gestione aziendale della scuola porterà disagi enormi. Questa Italia frantumata e divisa va accorpata, ma in questo momento storico la meritocrazia non è la strada giusta, perché rischia soltanto di far aumentare le zone paludose del nostro Paese”.
Di diverso avviso Max Bruschi, consigliere del ministro dell’Istruzione, secondo cui è giunto il momento anche nella scuola di introdurre “l’accesso alla professione attraverso concorsi che diano la possibilità ai docenti di essere accuratamente selezionati. Non è possibile raggiungere la professione dopo 15 anni di supplenze, perché così il ruolo è diventato un obiettivo e non il punto di partenza”.
Il resoconto completo del convegno verrà pubblicato sul prossimo numero del quindicinale cartaceo “La Tecnica della Scuola”.