Niente come l’arte sa esprimere la condizione umana nel vivere gioia, amore, incubo, disperazione.
Felka Płatek e Felix Nussbaum s’innamorano nel 1924 a Berlino. Lei 25 anni, ritrattista polacca; lui 21, pittore della Nuova Oggettività, scuola espressionista tedesca del periodo interbellico.
Nell’ottobre 1932 entrambi sono a Roma: Felix come borsista dell’Accademia d’Arte di Berlino, Felka come sua felicissima compagna. L’Accademia Tedesca di Villa Massimo, a due passi da Via Nomentana e da Villa Torlonia, ospita vari artisti, tra cui loro due. Lì Felka e Felix vivono insieme un periodo sereno, fino a primavera.
È il maggio 1933, e Roma è tutta fiorita. Da quattro mesi Hitler è al potere a Berlino. I nazisti pretendono d’imporre la propria idea d’arte propagandistica di Stato, esaltazione dell’eroico superuomo “ariano”. Per i nazisti, inoltre, Felka e Felix hanno una grave colpa: son di religione (per loro, “razza”) ebraica. Un collega di corso lo considera motivo sufficiente per aggredire Felix, che reagisce. Giudicato colpevole di rissa, Felix è allora espulso dall’Accademia. Con Felka, egli lascia Roma per la Liguria, dove li raggiunge la notizia che i nazisti hanno bruciato il loro studio di Berlino con almeno 130 loro quadri.
Iniziano così le loro infinite peregrinazioni per l’Europa: in cinque anni son costretti spostarsi continuamente tra Liguria, Francia, Belgio, mentre le leggi naziste di Norimberga (15 settembre 1935) li privano, in quanto ebrei, di ogni diritto e di ogni proprietà. Gli ebrei escono dalla giurisdizione della giustizia civile per entrare sotto quella della Gestapo.
Tuttavia in Belgio nel 1937 Felix e Felka si sposano, e continuano a dipingere. I dipinti di Felix divengono però cupi e disperati. Il rifugiato (1939) mostra un uomo curvo su una panca, la testa tra le mani in una stanza nuda, davanti a un grande tavolo vuoto su cui spicca un globo terrestre, mentre fuori si vedono lontani due alberi rinsecchiti sotto uno stormo sinistro di uccelli.
Cosa può significare il sentirsi braccati, senza nessuna colpa, in un mondo sempre più ostile, privi di speranza?
Settembre 1939: il mondo precipita nel secondo conflitto mondiale. Felix dipinge Il grande disastro, in grigio, con case demolite dalle bombe, donne e uomini in lacrime, irrigiditi nel dolore. Presagio di un futuro incombente e orribile.
Nel maggio 1940 i nazisti invadono il Belgio. Felix è arrestato e deportato sui Pirenei come “straniero indesiderato”. Fugge dal convoglio che lo riporterebbe in Germania, e torna a Bruxelles da Felka.
Vivono da clandestini. Felix si raffigura in un autoritratto come detenuto afflitto e smunto, gli occhi puntati sull’osservatore, davanti a deportati che vagano seminudi senza dignità, servendosi di latrine all’aperto, sullo sfondo di fili spinati.
Autoritratto con la carta d’identità ebraica, del 1943, lo rappresenta in primo piano. Dietro di lui un muro, e dietro il muro un albero scapitozzato. Felix ha in mano l’ignominioso documento di riconoscimento, fissa l’osservatore con occhi smarriti e scavati. Sul suo cappotto, la stella gialla.
Del 1944 è l’ultimo autoritratto, in cui Felix si mostra vestito da ebreo osservante, in preghiera, con Felka e un altro rifugiato. All’esterno ancora un albero secco. Sul tavolo la stella di David condanna tutti e tre al loro destino.
Aprile 1944: i nazisti perdono su tutti i fronti, ma per gli ebrei perseguitati non c’è speranza. Felix realizza la sua ultima opera, Trionfo della morte. Nel cielo marrone, tetri aquiloni sogghignano su una festa di scheletri che danzano suonando strumenti a fiato. Tutto è distruzione e sterminio.
Il 21 giugno 1944 un simpatico vicino “ariano” denuncia i coniugi Nussbaum alla polizia nazista, che li arresta subito. Il 31 luglio un treno li porta ad Auschwitz, dove sono assassinati col gas il 9 agosto.
«Non lasciar morire le mie opere, ma mostrale al pubblico», aveva detto Felix a un amico. Le sue opere, dimenticate a lungo, sono riscoperte e valorizzate — coi bellissimi ritratti di Felka — mezzo secolo fa, giungendo fino a noi, e rendendo Felix e Felka immortali. Esse ci dicono che no, non si può equiparare chi lottò per instaurare il nazifascismo e chi mise in gioco la propria vita per abbatterlo.
Dovere primario di ogni docente degno di questo nome è rendere ben chiaro questo principio etico ai propri studenti, giacché ogni docente insegna anche educazione civica oltre alla propria materia. La storia dei coniugi Nussbaum dunque non riguarda solo chi insegni storia dell’arte, ma chiunque insegni.
Ciò è confermato dal documento ONU Trasformare il nostro mondo. L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. L’obiettivo 4 dell’Agenda 2030 è «Istruzione di qualità: garantire a tutti un’istruzione inclusiva e promuovere opportunità di apprendimento permanente eque e di qualità». L’obiettivo 16 è «Pace e giustizia: promuovere società pacifiche e solidali per lo sviluppo sostenibile, garantire l’accesso alla giustizia per tutti e costruire istituzioni efficaci, responsabili e solidali a tutti i livelli».
Per realizzarli non bastano certo le ossimoriche “competenze non cognitive”: son necessarie, al contrario, conoscenze certe e illuminanti, che sviluppino spirito critico e desiderio di basi etiche per la propria esistenza. La storia dei coniugi Nussbaum può costituire una di queste basi, e va proposta allo studio dei giovanissimi.
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