“Questi muri parlano di noi. Ogni scritto, ogni singola parola fa parte dei nostri cuori. Ecco, anch’io voglio aprire il mio cuore, dire i miei sentimenti e l’unica cosa che ora penso sei tu”.
Sebbene questa frase abbia un sottile vena sentimentale, fa tuttavia parte di quell’insieme arabescato, estroso, divertente, monellesco e, per certi versi pure, vandalico mondo dei graffiti che dipingono, imbrattando, le mura delle scuole e che fanno pure imbestialire i presidi, costretti, per motivi di decenza, a farli rinfrescare, si fa per dire, periodicamente.
E più sono le aule e i corridoi, più i dirigenti si mettono le mani nei capelli, quando ne sono provvisti o se sono donne, altrimenti non resta loro altro che di grattarsi la nuda testa.
D’altra parte scrivere messaggi e pensieri, estrosità e pure stupidaggini sulle pareti non è un’arte antica? Un modo per dire al mondo che esistiamo e che vogliamo tramandare un po’ di noi? Dai graffiti delle caverne paleolitiche a quelle delle prigioni, dagli alberi della foresta dove Orlando perse la ragione ai quartieri neri di New York gli esempi che si possono portare sono tanti. Figurarsi se la scuola, che è specchio fedele di ogni società, si possa privare di tanta tradizionale pregevole inventiva.
Anzi, siccome la scuola è pure il luogo delle lettere, l’immaginazione e la creatività appaiono più pregne e fertili delle più banali balordaggini di certo muragliume cittadino.
Ed allora basta fare un breve giro in una qualunque delle nostre scuole e in breve tempo si può perfino fare un libro di tante scritturali amenità. “Questo è dedicato a te, vita mia” è scritto accanto a “G. resterai sempre il mio culo preferito”; come “ A. conoscerti è stata la cosa più bella che mi sia capitata” sta vicino a “A. S. (diamo le iniziali per evitare seccature) 6 porno”, a cui la probabile ragazza hard risponde: “E tu F. V. 6 porcone”, seguita da una serie di volgarità, ma dove fa capolino il “6” che sostituisce il verbo essere.
Ma ci sono pure avvertimenti e consigli: ”Attento alle scelte che fai”, “Sappi che l’attimo senza di me è solo 1 attimo vuoto”, “Fabio lascia Rita e vieni da me”, “Telefonate a Giusi che vi fa 1…servizio”, con relativo numero di telefono. Fanny e Laura invece “aspettano due ragazzi boni”.
Tuttavia su ogni scritta domina incontrastato l’abbreviazione tipo: t. v. b., ti voglio bene che può essere inframmezzata da una o diverse t che sta per: tanto; più t ci sono è più l’amore è grande: t.v.t.t.t. b. a cui qualcuno aggiunge pure d.m che sta: “da morire”. E su questo nobile sentimento non si scherza; infatti la parola più usata dai ragazzi è proprio “amore”.
Ti amo campeggia incontrastata ed è pure scritta nelle lingue più comuni d’Europa, per cui anche un breve corso di lingue è possibile fare studiando i muri delle nostre scuole. Stranamente poco frequentate sono le parole d’ordine politico, i motti che fecero storico il sessantotto. Si vede che ai nostri giovani interessa altro e non già i pensieri di Mao o di Lenin o gli slogan dei movimenti estremistici.
E sembra pure che gli alunni delle nostre scuole siano innamorati dell’amore e seppure il più anziano sorbisce ancora a colazione lo zabaione della mamma, ci sono molti che si vogliono sposare e avere figli: “Voglio 6 figli da te”, “ti voglio sposare”. Poco usato è il dialetto, tranne per l’incitamento alle squadre di calcio del cuore o contro gli avversari più accaniti. Non mancano le offese e le calunnie: “F. è frocio”, “V. è buttana”, “T. cerca c…”, ma talvolta scattano pure brani poetici cattivanti: “Vorrei essere il mare di fronte per narrarti le storie del mondo” che pare il sospiro sconfortato di un amante alla ricerca degli occhi di una fantastica Dulcinea o di un don Chisciotte.
Non sapremo mai come si concluderà questa storia, ma tifiamo per il più debole.