Dante colloca i traditori nel IX cerchio dell’Inferno, dopo il Pozzo dei giganti, considerandoli i peccatori più gravi, tanto che vengono situati proprio nei pressi del perfido per eccellenza, Lucifero. Ma il IX cerchio è pure diviso in quattro zone: Caina, Antenora, Tolomea e Giudecca e tutti sono conficcati nel ghiaccio del Cocito e trattati al limite del bestiale.
Nello specifico, dentro la Caina si trovano i traditori dei parenti, nell’Antenora quelli della patria, nella Tolomea i traditori degli ospiti e nella Giudecca i traditori dei benefattori, i più ferali tra i traditori, simili a Giuda che si vendette per trenta denari, tradendo la fiducia.
Per tradire tuttavia ci vuole però molta passione, un carisma particolare, un trasporto amoroso peculiare che solo in pochi possono avere e che magari coltivano nel loro malavitoso orticello fatto di invidia, solitudine, malanimo.
Ma per tutti i traditori per eccellenza valga per tutti Jago, nell’Otello di Shakespeare: il male per il male, il tradimento per il gusto di tradire, senza uno scopo se non quello di portare distruzione e rovina nella caso del nobile e leale Moro di Venezia.
In ogni caso la letteratura si è sbizzarrita su questa losca figura, indispensabile fra l’altro per inceppare il meccanismo normale della storia, facendola impennare verso dove il narratore intende portare il suo lettore.
Sicuramente ogni traditore ha una sua caratterizzazione, come cerca di descrivere Dante che a seconda del tipo di infedeltà distribuisce le anime nelle “zone” appropriate.
In ogni caso i traditori più tradimentosi sono quelli depositati nella Giudecca infernale, coloro che hanno violato il sacro principio di bene dovuto ai benefattori e che sono i più vicini a Lucifero che è poi il prototipo di colui ha ingannato la persona a cui è stata affidata la massima fiducia.
Come fece Bruto o Efialte di Trachis che tradì gli Spartani in guerra. E come tradirono il buon Dantes, nel Conte di Montecristo, Fernando, Danglars e Cauderousse.
Tuttavia l’immagina più ambigua tra i traditori, è quella di Uriah Heep nel David Copperfield di Dickens. Mani sempre umide e appiccicaticce, che non guarda mai negli occhi il suo interlocutore, che si contorce e che alla fine, dopo avere carpito tutti i segreti del suo benefattore, ne diventa socio attraverso sempre il tradimento e il mescolamento delle carte.
Ma perché ci siamo intrattenuti nel tradimento e nel traditore?Perché questo nostro è forse il tempo in cui tradire non lascia traccia nell’animo del traditore che con ogni probabilità non si sente neanche tale. Talvolta può perfino tendere a sentirsi un eroe, ma agli occhi solo di qualche suo compare Jago, giammai nell’animo di chi ha fatto della lealtà e della schiettezza la sua bandiera e la sua ragione di vita.
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