Forse bisogna riscoprire il rigore e mettere mano a una serie di punizioni corporali codificate dal diritto naturale per cui il maestro, a fronte di comportamenti poco consoni coi principi della scuola, possa assegnare un numero di pene equivalenti al danno. Del resto fino a tutti gli anni cinquanta non si usava forse la bacchetta in classe? Lo scappellotto è invece scomparso solo da alcuni decenni, in coincidenza col sessantotto, ma aveva alte quotazioni e una buona dose di pregio deterrente. Acquattato è rimasto solo il rimprovero, aspro e forte, ma è in via anch’esso di estinzione vista la facilità di denunzia di certi genitori e con buoni esiti.
Sopravvive ancora il rapporto disciplinare, ma considerata la sua bassa utilità pratica è solo spreco di inchiostro e di tempo per imbrattare il registro elettronico.
E allora che fare di fronte all’avanzata della maleducazione e degli atti di violenza? È vero cha la violenza figlia violenza, ma se ad ogni delitto corrisponde una condanna, occorrerebbe sapere quale pena si possa comminare a chi fa il bullo e quale ancora per chi vandalizza banchi, aule e suppellettili, compresi i bagni che spesso vengono allagati per marinare la scuola.
E quale scotto per chi con arroganza aggredisce il maestro (lo chiamiamo così piuttosto che insegnante) e non solo con oggetti contundenti, ma anche a parole che è pure peggio. Ci si arrovella (ed era nel programma del centrosinistra ora al Governo con le larghe intese) per capire come il maestro possa riacquistare il prestigio perduto che, a parte lo stipendio da fame, è sempre più umiliato e offeso, e non solo e perfino dalle competenze del posteggiatore abusivo, che ha una sua autorevole funzione in tutti gli slarghi possibili delle città, ma anche da quelle del più semplice impiegato del catasto o del comune di fronte al quale, per il fatto semplice che gestisce un ufficio delicato, molte schiene si piegano.
Non diciamo che il maestro debba ottenere rispetto alle stessa strega di costoro, diciamo solo che bisognerebbe ridargli un tantino di più potere e l’uso della punizione esemplare contri i “malfattori” potrebbe essere un ottimo mezzo.
E quanto sia salutare basta riflettere sui metodi pedagogici adottati dai gesuiti nei loro collegi dove si insegnava, con pieni esiti, a suon di bacchettate. All’epoca non si conoscevano i wi-fi, internet, le app, gli smartphone, né le sofisticate strategie didattiche sempre più di moda, ma il risultato era straordinario, molto di più di quello di oggi. Era, ed è, proverbiale infatti la cultura dei gesuiti. Ma all’epoca si conosceva pure il senso del sacrificio e non solo per conquistare qualche innocente sfizio, ma anche per avere il semplice pane quotidiano. Il sacrificio e il senso del sacrificio e la sacralità del lavoro.
E studiare, checché se ne dica, è sacrifico, impegno, volontà, sforzo, sudore: ma chi ne pretende dai nostri ragazzi? I compiti a casa, che impegnavano pomeriggi e spesso nottate, non sono più tra gli usi e i costumi degli alunni del nostro tempo, mentre la ministra si affanna a dire che va affrontato il benessere degli studenti e che bisogna tutelare i ragazzi dal disagio fisico, psichico e sociale per cui i docenti (non i maestri) devono stare sempre all’erta sul fronte della prevenzione, intervenendo per scardinare piaghe sociali come il bullismo, la tossicodipendenza, l’obesità, la xenofobia, il femminicidio, l’omofobia ecc. ecc.
Il docente, dice ancora la ministra, deve soprattutto “promuovere la cultura della legalità, prevenire gli incidenti stradali e dare informazione sulla salute anche per disincentivare le tossicodipendenze.”
Al solito non si capisce come bisognerebbe prevenire, considerando che dal un lato è obbligo completare il programma, interrogare, correggere i compiti, valutare, assegnare i voti e dall’altro è opportuno aprire le scuole (come suggerisce qualche illuminato che però non sa dove reperire i soldi) perfino di pomeriggio per sobillare il benessere degli studenti e le loro tendenze creative, spronandoli alla socializzazione pacifica. Nello stesso tempo tuttavia alcune scuole, per sbarcare il lunario e pagare i supplenti, stanno pensando di tappezzare le aule di reclami pubblicitari per avere qualche soldo, almeno dagli sponsor, che poi siano venditori di caramelle o di brioche (a proposito della salute alimentare) poco importa. E allora insieme allo scappellotto bisognerebbe pure che si riesumasse l’altro salutare spauracchio: quello di saltare la cena per punizione.
NB: La presente riflessione, nata su suggerimento di un gruppo di docenti di una scuola di frontiera, è stata pubblicata su La Sicilia di qualche anno addietro, la riproponiamo, ma, considerato l’argomento, al solo scopo di aprire un pacato dibattito, ben sapendone, e conoscendole, le delicate implicazioni e le evidenti critiche.